(1068) Maturità

Pensavo che la maturità fosse un’oasi di pace, dove i conti tornano e ci si mette via via l’anima in pace preparandosi a godersi la vita così come la vita deve essere: meravigliosa.

È molto probabile io abbia frainteso un paio di concetti costruendomi un’utopia difficilmente giustificabile.

Ovviamente, la maturità ti porta una certa presenza di spirito. Magari prendi un po’ meglio le cose – dalle rotture di palle alle delusioni, dai contrattempi ai piani falliti e via dicendo – ma poco altro. Davvero poco altro. Ci si incazza ancora (sperando di esserne ancora capaci) e si soffre ancora per le cose che sfuggono via e non ci si può fare niente. Soprattutto si viene presi da attacchi furiosi di nostalgia e ogni nostra giornata ha un sottofondo malinconico che si sposa male con il godersi davvero la vita meravigliosa che vorremmo.

Su questo me la sento di azzardare che non sono la sola a viverla così, altrimenti vedrei i miei coetanei passarsela meglio.

Dunque è evidente che la mia idea naïf di maturità deve essere corretta e sanata. Eppure, la tristezza che mi prende nel pensare di lavorarci sopra togliendo tutto lo zucchero mi è insopportabile. Pensare che prima o poi scorgerò all’orizzonte quell’oasi di pace in cui rifugiarmi è un bel pensiero, dopotutto. Illudermi che ci sarà un miglioramento e che le cose diventeranno meravigliose (andiamo a percentuale, dai, almeno un bel 50% su!), mi tranquillizza. Mi fa stare a galla.

Comunque, l’estate si sta squagliando, si entra ufficialmente nella stagione della malinconia… dove mi trovo decisamente più a mio agio. Ma di cosa sto parlando, quindi? Va bene così, va tutto bene così.

È meraviglioso.

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(579) Benestare

E un giorno smetti. Così di colpo. Non ti riconosci più, ma non ci pensi un attimo. Sai che è arrivato il tempo di smettere e sai che ci hai messo fin troppo a capirlo e a prendere la decisione più sana di tutta la tua vita.

Smettere di chiedere il benestare di chi ti sta attorno per fare quello che senti di dover fare per stare bene, è il primo passo verso la salvezza. Io ho iniziato a diciannove anni e non mi sono più fermata. Per questo sono ancora viva.

Non significa che non sento ragioni e faccio sempre di testa mia – ora che ci penso è così, ma posso spiegare meglio…

Non significa che non ascolto quello che chi mi vuole bene pensa al riguardo e magari i consigli che mi vengono offerti, li ascolto, davvero, li ascolto tutti. Ma faccio di testa mia. Invariabilmente. Senza cedere di una virgola. Faccio quello che la mia testa mi dice. Perché la mia testa ci ha pensato e ripensato, ha valutato, ha soppesato, ha tolto, ha aggiunto, diviso e moltiplicato. Ha fatto un salto in avanti, due di lato (ds e sn) e uno indietro; ha guardato bene, tutto quello che poteva vedere l’ha visto, tutto quello che poteva sentire l’ha sentito, tutto quello che poteva immaginare l’ha immaginato. Quello che non ha visto, sentito, immaginato è comunque lontano da me e neppure se me lo racconti mi convinci. Perché se non lo vivo non lo conosco. Tutto qui.

Ovvio che ci sono cose che non intendo vivere e di cui mi basta una vaga idea – mi serve per tenermi a distanza – ma quelle che penso facciano per me, allora sì. E lo so che potresti non essere d’accordo, che mi vorresti evitare un danno, che ti preoccupi per me. Eppure…

Eppure se io avessi aspettato il benestare di qualcuno per ogni passo che ho saputo fare, se avessi creduto a ogni spauracchio mi si fosse palesato davanti evocato da chi la sapeva più lunga, se avessi pensato che non sapevo e non potevo decidere per me e per la mia vita, io sarei morta dentro. Non avrei vissuto cose meravigliose e anche cose dolorose, non avrei capito quanto ero lì per imparare e quanto invece già conoscevo, non avrei messo alla prova tutte le mie insicurezze e i miei gap – ridicoli e non – e non avrei compreso meglio la voce che mi guida nonostante tutto e nonostante tutti, nonostante me.

Non c’è benestare che tenga. Il permesso me lo do io, per fare e per non fare. Così è. Che piaccia o no, questo non è affar mio.

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(150) Funzionare

Io funziono come un LP (Long Playing, ovvero un 33 giri). Oggetto di culto, oggi, ma che sta cominciando a interessare anche la  nuova generazione. Ecco: funziono così, seguo sempre un disegno (lo stesso) nel mio pensare e nel mio agire.

Un LP veniva progettato come se ogni pezzo musicale fosse una tessera di un puzzle. Un discorso che iniziava con la prima canzone e che terminava con la decima (canzone più canzone meno). Anche se ti potevi affezionare più a una o all’altra (sacrosanto), non ti saresti mai sognato di affermare che il resto faceva schifo. No, erano tutte parti dello stesso disegno, della stessa visione. Se quella visione ti piaceva, allora non potevi far altro che seguire il percorso tracciato dall’artista e fidarti di lui. E le ascoltavi di seguito le canzoni, non saltavi dalla seconda all’ottava e poi alla terza e via così. Poggiavi la puntina sul bordo esterno e la lasciavi scivolare via fino a che i giri diventavano piccoli e il pick-up ritornava al suo posto. Se ti capitava di dover fermare il viaggio anzitempo ti giravano un bel po’ le scatole (almeno a me) e se ci ritornavi lo rimettevi daccapo, mica dal punto in cui ti eri fermato (almeno io facevo così).

Ecco, io funziono con questa logica. Tutto quello che faccio è parte di un mio disegno, molto più grande di quel che io stessa riesco a immaginare, e non faccio altro che concretizzare pezzo dopo pezzo la mia visione. Se qualcuno mi chiedesse dove voglio arrivare, io saprei rispondere (no, nessuno me lo ha mai chiesto) anche se ho deciso che me lo tengo per me finché non l’ho realizzato.

Mi è venuta in mente questa cosa perché ho trovato una bellissima foto di LP colorati che spuntano dall’espositore e ho sorriso pensando alle ore trascorse da ragazzina nel mio negozio di dischi preferito mentre mi facevo una lista mentale di tutto quello che avrei voluto comprare (calcolando che nemmeno in cinquant’anni di vita ci sarei riuscita). Sono ancora quella ragazzina, eh.

Un LP contiene una storia, composta da almeno altre dieci storie e ognuna di queste dieci storie ne contiene almeno un altro centinaio (anche di più, dipende da quanta gente le ascolta)… che cosa meravigliosa, vero? Meravigliosa, sì.

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