(965) Soffio

E in un soffio vedi volare via quel che pensavi di poter trattenere per un po’, non per sempre – perlamordelcielo – soltanto per un po’. Niente da fare. Andato.

E non lo puoi sapere quant’è la frustrazione finché non la vivi. Non c’è modo per trattenere ciò che deve andare. Deve? Vuole, più che altro. È uno scontro di voleri, più o meno espliciti e più o meno consapevoli. 

E anche se trattieni il respiro, anche se fai le mosse giuste, anche se dai il meglio di te, non serve a niente. A niente. E fai presto a dire potevo fare o dovevo fare o potevo dire o dovevo dire o potevo e dovevo non dire e non fare. Perché resti sola con la desolazione che ti si ritorce contro: certo che sei tu la responsabile. Chi altro?

Basta un soffio per prendere tutto quello che sei ora e ridurlo un niente, basta un soffio e anche se lo sai non ci pensi. Ci caschi ogni dannata volta, pensi sempre: stavolta è la volta giusta. Non lo è, forse non è mai la volta giusta per certe persone. Per altre sì, ma questa è un’altra storia.

Quindi ora che un soffio ha spinto lontano da te ciò che volevi tanto e un altro ti ha spinto addosso ogni tua paura centuplicata, che intendi fare?

Forse solo non dire, non fare, non pensare. Per un po’.

E dormire. 

Il più possibile.

‘notte.

 

 

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(842) Virus

Agenti patogeni cattivi. E qui giù di lista. Nomi e cognomi, codici fiscali e cellulari. Ognuno di noi può fare la sua cernita e ognuno di noi potrebbe motivarne la scelta con dettagliate descrizioni. Il mondo è pieno di virus, d’altro canto. 

Ma siamo pazzi a vivere?!?

Riprendiamo il controllo: nel mondo ci sono i virus. Son cattivi, sì. Certi virus sono letali, senza dubbio. Sono i soli abitatori dell’universo? No. C’è spazio per tutti? Sì. Finché i virus te lo permettono. Ovviamente.

Va meglio? Ti viene più voglia di tener duro e continuare a vivere? ‘nsomma.

Ok, rifacciamo daccapo: nel mondo ci sono un sacco di esseri che vivono. Tra questi ci sono anche i virus. Sono agenti patogeni cattivi, a volte possono essere letali. L’uomo ha imparato a difendersi da alcuni di loro piuttosto bene, da altri meno bene, da altri ancora per niente. Ma ci stiamo provando. Perché a noi uomini piace vivere e piace vivere da sani il più a lungo possibile. Certo che può capitare che un virus si insinui in noi pensando di avere la meglio, ma appena ce ne accorgiamo sappiamo che dobbiamo attivarci per fare qualcosa. Dobbiamo chiedere aiuto quando la situazione si fa davvero seria, ovvio. E se lottiamo credendoci, se abbiamo un colpo di culo e trovare la cura giusta, se siamo abbastanza forti da tenere botta alle conseguenze della cura, se non si inceppa nulla durante il percorso… ce la possiamo cavare.

Molto meglio, vero? Sì, non perfetto, ma meglio.

Potrei continuare così fino a rasentare la perfezione, ma state tranquilli non lo farò. Questo esercizio l’ho pensato soltanto per rendere evidente il fatto che se tu vuoi suscitare una precisa reazione nelle persone che si interfacciano con te, basta che tu sappia utilizzare regole basiche di storytelling e ti trasformi nel pifferaio magico. Non serve essere un genio, basta saperla raccontare. Ormai il saperla-raccontare è diventato un virus, iniettatoci da emeriti trogloditi, che si insinua nel nostro cerebro annichilendo il minimo di buonsenso rimastoci. Neppure intelligenti, soltanto trogloditi che te la sanno raccontare bene. Ma neppure tanto tanto bene, soltanto un po’. Quel po’ che serve a ottenere un voto per arrivare alla poltrona. Basta un niente, davvero.

La cura a questo virus letale? La sostanza. Pretendere la sostanza da parte di questi trogloditi li farà retrocedere. La sostanza però non significa intascarsi qualche euro al mese per farsi la vita più facile. Bastasse quello sarebbe davvero facile, ci vuole un altro tipo di sostanza, quella che fa capo al pensiero laterale. Quella che ti allarga la mente, non quella che te la mette in naftalina.

Devo ricominciare daccapo o ci arrendiamo all’evidenza che siamo stati tutti infettati?

Eddai!

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(818) Domani

Se sei fortunato arriva, il domani arriva. Quando arriva, però, puoi fingere stupore e puoi fingere gratitudine ma non puoi fingere che il tuo ieri sia stato all’altezza, che sia stato onorevole, se così non è. Non puoi perché le conseguenze si ripercuotono inesorabilmente nel suo domani. E il domani diventa oggi prima di diventare ieri, quindi in poche parole: sei fottuto. O ti vivi bene l’oggi o ti rovini il passato e il futuro. Semplice, ovvio, dannatamente sottovalutato.

Ci sono stati degli oggi nella mia vita dove mi domandavo costantemente (minuto dopo minuto) perché diavolo fossi finita in quella situazione. Minuto dopo minuto, ora dopo ora… non c’è niente di più asfissiante.

Ci sono degli oggi nella mia vita dove mi dico: che figata essere qui. Questi sono gli oggi che preferisco, ovviamente. Non mi riesce con tutti gli oggi che vivo, ma sto migliorando. Quindi i miei domani sono su un altro livello. Superiore senza dubbio.

Ho sempre pensato che domani sarei riuscita a dare una svolta alla mia esistenza, perfino quando mi trovavo in piena svolta. Il mio concetto di svolta, forse è da rivedere, me ne rendo conto. Volevo fare altro, fare ancora di più e mi muovevo per realizzare quel domani. L’oggi che vivevo era di impegno, di concentrazione, raramente di divertimento. Mi domando chi me l’ha insegnato che per lavorare bisogna essere grevi… se ti diverti non viene meglio tutto?

Credo di averlo testato sulla mia persona e credo sia per questo che ora quando penso al domani lo faccio con meno ansia, con meno concentrazione. So che con le premesse di oggi, con le esperienze di ieri, il mio domani non potrà essere disastroso. Magari difficile, magari duro, magari complicato. Certo, ci sta. Non disastroso, però, perché in qualche modo saprò dove andare e saprò dove attingere la forza per affrontare tutto.

Domani andrà meglio. E non è così tanto per dire, è un calcolo matematico preciso, lineare. Domani sarà meglio di oggi. Domani sarà sicuramente meglio di ieri. Domani, spero arriverà, sarò ancora qui a scriverlo.

A domani.

 

 

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(553) Calimero

Col detersivo giusto, Calimero tornava bianco e ritornava dalla sua mamma. Ricorda qualcosa vero?

Una vocina irritante, un atteggiamento irritante, un personaggino irritante che ha segnato l’infanzia di chi è nato negli anni ’70. Irritante pure questo, no?

Stavo pensando che spesso ci fanno passare per cose di valore cose che non lo sono affatto. A noi suona storto, ma ci ripetono che ci stiamo sbagliando, che quello che pensiamo, quello che sentiamo, non va bene.

Non va bene. Qualcuno ti dice che non va bene e a te dovrebbe bastare, dovresti smettere di pensare e di sentire come pensi e come ti senti perché qualcuno ti dice che non va bene. Ormai quello che va bene e quello che non va bene ha contorni talmente stemperati che sembrano non esistere più. E anche la questione di chi ti dice che non va bene si è complicata. Ti dicono che non va bene e poi scopri che sono loro che non vanno bene. E cosa fai se hai messo il cervello in naftalina? Cosa fai se ti sei lasciato convincere che non andava bene e hai smesso di pensare, hai smesso di sentire?

Disastro. Chi ti tirerà fuori dal pozzo? Ci hai mai pensato? Dovresti, dovresti. Perché non serve a nulla stare lì a inveire contro tutto quello che non va bene, non serve a te, non serve agli altri. Bisogna trovare un altro modo. Se vuoi, però, fare come Calimero, allora tira fuori la vocina e di’ come lui:

«È un’ingiustizia però!»

Ti senti meglio? No, vero? Ok, cominci a capire. Questo va bene, fidati, questo va molto bene. Inizia il vero lavoro, ora. Tieniti pronto, sarà come entrare in un frullatore, ma pensare va bene. Sentire va bene. E lo sai anche tu.

Daje.

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(394) Stranire

Non so come ci riesco, ma è il mio potere magico. Appena possibile, quando meno me l’aspetto, scatta l’incantesimo e rendo nervosa la persona che mi sta di fronte. Quasi mai è per quello che dico, piuttosto per un qualcosa che succede a livello energetico. Quel qualcosa scatta e la persona che mi sta vicino mi vorrebbe prendere a pugni.

Non è mai successo, ma questo soltanto perché sono solita frequentare persone di buonsenso e ben poco violente – se per fortuna o per astuzia non saprei dirlo – eppure la mia presenza riesce a mettere a disagio chiunque. Random.

Mi piacerebbe poterlo pilotare, farlo solo con chi non mi piace, sarebbe un bel modo di evitarmi seccature, invece è un potere indomato e temo indomabile. La cosa che poi rende tutto ancora più interessante è che riesco a fare anche il contrario con la stessa dinamica: riesco a tirare fuori il meglio dalle persone. E non per interessi egoistici, altrimenti sarebbe un gioco sporco del quale sarebbe meglio non vantarsi, soltanto perché quello che faccio o quello che dico o puramente per un fatto di energia buona produce benessere che si propaga.

Non voglio, però, togliere peso a quel mio lato oscuro che riesce a far girare le palle al mio prossimo, tutt’altro. Sto semplicemente valutando che questi mie superpoteri sono talmente allineati l’uno all’opposto dell’altro che alla fine si annullano. Non c’è colpa e non c’è vanto. Sono come tutti gli altri: insopportabile e irresistibile assecondando la luna del momento.

Che sollievo!

 

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(292) Artificiale

artificiale agg. [dal lat. artificialis, der. di artificium «artificio»]. – 1. a. Fatto, ottenuto con arte, in contrapp. a ciò che è per natura (…)  2. Meno com., artificioso, non spontaneo: parlava con voce a., assume spesso pose a., e sim. ◆ Avv. artificialménte, con mezzi artificiali.

Non sempre ciò che è artificiale è scadente o inferiore a ciò che è naturale. Una reazione artificiale, in una situazione di tensione, potrebbe essere molto più saggia o addirittura salvifica rispetto a una naturale. Al di là di questo, mi piace tanto il significato sul quale poggia tutto: fatto, ottenuto con arte.

Mi fa pensare a tutto quanto l’Essere Umano sa fare con arte e a quanto sia importante questo saper fare con arte per l’Umanità intera.

Vero è che fa anche tanto per distruggere il buono del suo fare con arte, e c’è arte anche quando fai per distruggere a pensarci bene. La cosa peggiore del diventare vecchi è rendersi conto che bene e male vanno a braccetto così spesso da confondersi l’uno con l’altro. Basta un po’ di più di qua o di là e già il risultato è ribaltato e tu non sai più da che parte stare.

Ma ci sono certi pensieri che a percorrerli tutti ti viene il magone. Ritorno all’origine di questo sproloquio allora: fare con arte. Perché non basta fare, senza cuore, senza senso, senza ambizione, senza intento, non basta. Bisogna fare con arte, che significa sentimento, dedizione, cura, intenzione bella.

Così voglio fare, il più a lungo possibile.

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(277) Effetto

Dimmi, che effetto ti fa? Me lo sto domandando da qualche giorno, perché non sono abituata a una situazione come questa. Quindi mi chiedo: che effetto ti fa? L’hai sognato e ora è qui, è quello che avevi immaginato?

Sorprendentemente, la risposta è: sì.

Esattamente così, è proprio questo che voglio per me nei prossimi trent’anni. Così mi voglio sentire, così voglio che sia la mia strada e sempre meglio, sempre meglio, sempre meglio. E non nascondo che il lavoro fatto negli ultimi vent’anni sia stato forsennato e disperato, che avevo paura fosse inutile, che pensavo a un certo punto di essere una povera deficiente e che…

L’effetto che mi fa ora è quello di un’enorme magnifica consapevolezza di senso. Non si tratta di urlare Eureka! o di adagiarsi sugli allori, no. Si tratta di fare sempre meglio, sempre meglio, sempre meglio. Ambizione sfrenata? Forse. Ma, lo ammetto, la curiosità vince su tutto: chissà come sarà quando sarà meglio di così!

Testa bassa e di nuovo al lavoro.

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