(1025) Difesa

S’impara tardi a difendersi dalle parole.  (Erri De Luca)

Giocare in difesa è brutto, stai lì a parare colpi che arrivano random e i nervi saltano da una parte all’altra ad ogni alito di vento. Quindi, quando so che non posso fidarmi, mi allontano.

Certo che so prenderli i colpi, ma dopo un po’ ti stanchi. Non fanno meno male col tempo, fanno più rabbia.

Le cose non dette, le strategie viscide – dove niente è chiaro e non capisci cosa sta succedendo – mi hanno stancata. Prima o poi me ne accorgo e non è che te ne viene in tasca qualcosa, quindi lascia stare. No, non lo dico. Lo penso e basta. Lo penso e mi allontano.

Perché bisogna anche imparare a difendersi, non si nasce già sapendo. Impari con i colpi presi e la cosa più difficile è rendersi conto che non andrà mai meglio, ma che la difesa è necessaria per preservare la tua salute fisica e mentale sempre. Sempre. Credo sia l’unico per-sempre su cui si possa davvero mettere la mano sul fuoco.

La difesa migliore è l’attacco, dicono, e ho imparato anche ad attaccare, ma non riesco mai a essere efficace, manco di cattiveria. Posso però cancellare dal mio presente chi voglio, questo è provato, quando scopro il gioco procedo e via. Un attacco discreto, anche indolore, silenzioso di sicuro. Nessuno se ne accorge, ma io so. E mi basta.

I lucchetti ai cancelli? Sì, ma quelli al cuore pesano di più.

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(713) Telefonare

Quando non c’era ancora internet – sì, sono piuttosto antica – il telefono era l’unico modo per mantenere i contatti con gli amici. Scrivevo moltissime lettere, giuro, ma se scrivi a chi non ti risponde perché non ama scrivere diventa piuttosto frustrante.

Passavo ore al telefono, per ascoltare e per raccontarmi, amavo il posto che avevo nella vita dei miei amici, mi sembrava fosse importante esserci anche se mi ero trasferita a quasi 500 km di distanza.

A un certo punto, però, ho scoperto che non era un posto per sempre perché la lontananza fisica aveva fatto perdere le mie tracce e la mia voce non bastava più. Facevo fatica a raccontarmi, facevo fatica a farmi capire, facevo fatica a esserci. E dopo anni mi arresi sfinita, come se tutte le energie fossero state succhiate via per sempre.

Non era una questione di pensiero, li pensavo tutti i giorni, né d’affetto perché erano sempre le persone con cui ero cresciuta e avevo condiviso tutto della mia infanzia e della mia adolescenza solo… solo che loro non riconoscevano più me e io non riconoscevo più loro. La vita ci aveva masticato e ci aveva modellato diversi. Riconoscibili solo nei dettagli.

Ora prendere il telefono per chiedere “come stai?” mi fa strano. Il telefono adesso non mi aiuterebbe a riattaccare i pezzi persi, e quei vuoti li temo se si palesano in vuoti di silenzio. Non lo so, sento che raccontarmi a loro – per come sono oggi – andrebbe solo a confondere i ricordi.

Vorrei capirne di più della vita, per fare meno errori, ma al momento tutto quello che posso fare è riconoscere le cose per quel che sono e accettare i cambiamenti per quello che devono essere. Mi fa tristezza, comunque. Da piangere.

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(199) Luminescenza

luminescènza s. f. [der. del lat. lumenmĭnis «lume»]. – In fisica, processo di emissione della luce, e in generale di onde elettromagnetiche, in cui il fenomeno consegue a transizioni elettroniche tra stati energetici diversi di un sistema atomico o molecolare.

Quando scelgo le cose mi baso su questo principio fisico: l’emissione della luce. Non bado ai dettagli, ma alla luce che l’idea, la situazione, le persone fanno arrivare fino a me. Che poi la veda solo io è cosa da discutere, non credo sia così, ma che io me ne accorga e non tutti lo fanno questo è un dato di fatto.

Molto spesso neppure i fautori di tale emissione se ne rendono conto, allora  il mio compito è di mettermi lì accanto a loro e far notare, onda dopo onda, quello che loro stessi stanno creando.

Se a un primo momento vengo guardata come una povera pazza, non escludo di esserlo tra l’altro, con il passare dei minuti, trovando le parole giuste, i loro occhi iniziano ad acquistare sensibilità. Forse non percepiscono ancora la luminescenza che ricevo io, ma cominciano a focalizzare la propria attenzione su quel movimento impercettibile di onde che possono fare la differenza.

Credo che in poche parole sia questo il mio compito, captare la luminescenza per avvicinarla agli occhi di chi ne è fautore inconsapevole perché… perché… forse perché manca di amore nei confronti di se stesso, o forse perché nessuno glielo ha mai detto che la sua luce è importante.

Sì, non faccio altro che questo, tutto il tempo. E mi piace. Moltissimo.

La luminescenza poi prende forma e nuovi colori e vedo accadere meraviglie. Sarò anche pazza, ma questa cosa della luminescenza me la tengo cara finché posso.

 

 

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