(1025) Difesa

S’impara tardi a difendersi dalle parole.  (Erri De Luca)

Giocare in difesa è brutto, stai lì a parare colpi che arrivano random e i nervi saltano da una parte all’altra ad ogni alito di vento. Quindi, quando so che non posso fidarmi, mi allontano.

Certo che so prenderli i colpi, ma dopo un po’ ti stanchi. Non fanno meno male col tempo, fanno più rabbia.

Le cose non dette, le strategie viscide – dove niente è chiaro e non capisci cosa sta succedendo – mi hanno stancata. Prima o poi me ne accorgo e non è che te ne viene in tasca qualcosa, quindi lascia stare. No, non lo dico. Lo penso e basta. Lo penso e mi allontano.

Perché bisogna anche imparare a difendersi, non si nasce già sapendo. Impari con i colpi presi e la cosa più difficile è rendersi conto che non andrà mai meglio, ma che la difesa è necessaria per preservare la tua salute fisica e mentale sempre. Sempre. Credo sia l’unico per-sempre su cui si possa davvero mettere la mano sul fuoco.

La difesa migliore è l’attacco, dicono, e ho imparato anche ad attaccare, ma non riesco mai a essere efficace, manco di cattiveria. Posso però cancellare dal mio presente chi voglio, questo è provato, quando scopro il gioco procedo e via. Un attacco discreto, anche indolore, silenzioso di sicuro. Nessuno se ne accorge, ma io so. E mi basta.

I lucchetti ai cancelli? Sì, ma quelli al cuore pesano di più.

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(881) Maschera

Sarebbe bello deporre le maschere. Tutte di tutti. Ci sarebbe di che ridere e di che piangere, suppongo. Riusciremmo a tenere botta o ci butteremmo l’un l’altro dalla rupe Tarpea? Eh.

Viviamo in un mondo mascherato, chi sembra bello fuori e dentro non lo è, chi è bello dentro e fuori non lo è, chi è brutto a prescindere e chi bello a prescindere (con e senza maschera). Come si fa a pararsi le spalle? Non lo so.

Ho sempre sostenuto di non aver mai indossato maschere, ma forse non è così. Tutte le volte che mi sono trovata in situazioni estranee al mio volere ne ho indossato una che non mi facesse sentire vulnerabile e perciò attaccabile. L’ho fatto, mi sono schermata, ho preso le distanze, ho sistemato me stessa in un luogo segreto per esporre quello che non avrebbero colpito o che non avrebbe attirato l’attenzione o che non sarebbe comunque risultato interessante. L’ho fatto. Me ne pento? No. Sono sicura che a fare in altro modo ci avrei rimesso le penne, quindi lo rifarei di nuovo. Anzi, lo faccio tutt’ora, anche se sempre meno.

Perché mi sento meno traballante, meno debole, meno in balìa degli attacchi del primo che arriva. Anche se ci sono persone che con niente possono annientarmi, senza neppure rendersene conto probabilmente, sono pur sempre poche. Le posso contare sulla punta delle dita di una mano.

Non me la sento di giudicare le maschere altrui, se sono usate con lo stesso mio scopo – quello di difendersi – sono ben motivate. Abbiamo il sacrosanto diritto di mostrarci per come vogliamo e quanto vogliamo, senza dare spiegazioni o giustificazioni a nessuno. Il diritto alla difesa è di tutti, no? Ok, se non uso la mia maschera per danneggiare qualcuno, allora guai a chi me la tocca. Deciderò io se togliermela e con chi. Nessun altro.

Credere alla bellezza o alla bruttezza fa capo a noi. Non è una maschera che ci può convincere né dell’una né dell’altra. E scegliere liberamente come mostrarsi rimane cosa intima, intoccabile.

Se per me questo ha valore, lo deve avere per tutti. Non sto difendendo la menzogna, sto rivalutando la scelta di ogni Essere Umano di rimanere di proprietà di sé stesso senza per forza darsi al pubblico dominio. Di questi tempi bisognerebbe pensarci bene.

 

 

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(205) Protezione

Che il cielo ti protegga!

E se non lo fa lui, chi ci pensa a te? Tu stesso. Dovresti pensarci tu. Dovremmo ormai aver imparato che aspettarsi la protezione da qualcuno che non siamo noi non sia il modo più intelligente di gestirci. Se capiti male, la protezione diventa un cappio, una lama, un proiettile.

Cosa abbiamo fatto? Abbiamo trasformato il bisogno più puro di tutti, quello con cui siamo nati, in un peccato, in una vergogna, in una condanna.

Proteggere significa prendersi cura, riparare qualcuno o qualcosa con lo scopo di difenderlo da tutto cio che potrebbe danneggiarlo. Si protegge chi non può farlo perché debole e indifeso, si protegge chi ami anche se non ne avrebbe bisogno… ma chi non ne ha bisogno? Chi?

Il bisogno non è una cosa sporca. La protezione non è qualcosa che si deve mendicare, fa capo all’amore e basta a se stessa. E che tu sia povero o ricco, felice o triste, buono o cattivo, non cambia nulla.

Protezione significa riparo, cura, difesa. Ha origine da un bisogno puro: di riceverne e di offrirne, senza lucro e senza interesse. Perché ce lo siamo dimenticato? Perché? Perché? Perché?

 

 

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