(723) Autunno

Chi mi conosce lo sa: per me l’autunno entra tassativamente il 1° di settembre. Tassativamente, ripeto. Non me ne frega nulla cosa dice il calendario e l’equinozio e tutti gli studi fatti sulla Terra e quel che le compete. L’Autunno per me arriva con il 1° di settembre, ergo: è in fottuto ritardo!

‘Sto caldo che non passa, ma cosa aspetti a toglierti di torno? Vogliamo proprio ridurci all’ultimo minuto come al solito? Eh?!

Perché l’Autunno è uno stato mentale più che una stagione. Significa iniziare un lento e progressivo ritiro in se stessi. Ricominciare a concentrarsi su quello che abbiamo dentro anziché quello che c’è fuori. Ecco, questa condizione mentale è la mia preferita. Poi se ci metti che le giornate si fanno tiepide (tiepide non torride!) e che le passeggiate diventano più dolci, cos’altro mi serve per anelare a un anticipo d’entrata della mia attrice preferita? Nulla. 

Va da sé che io non sia proprio una persona particolarmente legata al calendario e ai suoi ritmi (ho usato un tono eufemistico, si percepisce?). Se non fosse che il resto del mondo ci tiene tanto a ricordarmi l’arrivo del Natale, Capodanno, Pasqua, Ferragosto, io glisserei serenamente sopra ogni evento deciso da umani che non sono io. Mi danno fastidio pure i sabati e le domeniche, tanto per fare un esempio. Dirò di più: tollero a malapena le stagioni. Certo, tutto bello, per l’amor del cielo, ma il cambio armadio è la perdita di tempo più esagerata che si sia mai vista – anche più del guardarsi il telegiornale. Rimango legata affettivamente alla primavera, perché è l’eterno stupore della rinascita che si mostra ovunque ed è come un incantesimo, ma gli estremi stanno diventando troppo estremi (estati torride e inverni polari) e, specialmente dopo gli ultimi infernali mesi, l’Autunno anticipato è diventato a tutti gli effetti un diritto mica un vezzo!

Ok, credo di essermi sfogata a sufficienza. Mi rimetto in attesa.

Tic-Toc-Tic-Toc-Tic-Toc…

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(459) Veglione

C’è la quiete in una stanza dolcemente illuminata, dove il ticchettio di una tastiera fa compagnia ai pensieri trasformandoli in parole. 

C’è un’attraversata lunga 365 giorni, evento dopo evento, sotto la pioggia o sotto il sole, con il vento o senza, niente bussola e un kit di sopravvivenza sempre troppo ridotto per far fronte a ogni imprevisto che sa colpire sempre con una mira esagerata.

C’è un fare i conti per capire cosa aggiustare, cosa tenere e cosa buttare, cosa far crescere e cosa far morire, ed è una questione delicata che ti fa shiftare da un dolore all’altro con brevi sprazzi di gioia sparsa senza continuità.

C’è la preparazione a varcare l’ennesima soglia, dove la visuale è ridotta e normalmente fa un freddo porco e si sa che quando sei vestita per contrastare il gelo i movimenti risultano lenti e goffi e non ci puoi fare nulla.

C’è anche la parte dedicata ai propositi – buoni e meno buoni – e all’illusione che sì è possibile un cambiamento e sì è possibile che il cambiamento migliorerà la tua esistenza per cui abbi fede e persevera.

C’è un brindisi in una mezzanotte che non è mai mezza perché ti sembra che sia la notte più piena di tutto l’anno, dove senti l’eco di ogni cosa che ti stai lasciando alle spalle e ti auguri che a un certo punto quel dannato eco finisca.

E poi c’è il veglione, quello dove dovresti essere per non sentire tutto quello che c’è e che ti farà addormentare non felice e non subito. Un veglione dove fingeresti una leggerezza che non hai mai avuto, un divertimento che non hai mai sperimentato, un’euforia che non hai mai toccato, un amore sconfinato per ogni estraneo che ti passa accanto afferrandoti per i capelli obbligandoti a partecipare al trenino-peppe-pe-pe-pe-pe…

Alzo le dita dalla tastiera e spengo il pc, mi scolo l’ultimo sorso rimasto nel bicchiere, soffio via la fiamma della candela restando in silenzio con quello che di me rimane e che tra poche ore dovrà rimettersi in movimento. Non mi serve fingere né sorridere, mi basta essere qui e respirare il 2018 che mi aspetta.

Buon Nuovo Anno, Babs.

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