Non vediamo le cose per come sono, vediamo le cose per come siamo.
Anaïs Nin
È la condanna, senza sconti, senza scampo. Ci ricadi, non c’è niente da fare. Magari non con le stesse modalità e non con le stesse conseguenze, ma ci ricadi. Tu pensi che sia diverso, che le nuove premesse che ti erano state presentate fossero garanzia di nuova situazione e invece no. Vivi in loop la stessa situazione che ti porta allo stesso risultato. E la delusione ti sommerge. E l’amarezza.
Decidere di fidarsi, decidere di affidarsi, decidere di restare, decidere di continuare a fare e a crederci. Poi tutto frana e tu ci rimani sotto. Inevitabile, le cose franano prima o poi. Inevitabile.
E quando stai lì sotto ti manca il respiro, il panico ti congela e cerchi forsennatamente dentro di te una via d’uscita. Prima al panico e poi alla situazione. Inevitabile.
E non è che ti sei dimenticata di quello che è stato, che ci sei già passata e che sei già una sopravvissuta, ma pensavi che fosse finita. Che non ci saresti ricascata. Nella fiducia, nell’affidarti, nel restare perché ci credi. Forma mentis da smantellare, si può? E si può vivere bene aspettandosi sempre che tutto frani da un momento all’altro?
È il pensiero, che recidivo, continua a sistemarsi su quel concetto base malsano: le premesse erano diverse. Però peccare di buonafede non ti toglie alcuna responsabilità, al massimo ti rende patetico. E qui si cade nel tunnel dell’autocommiserazione. Il che non aiuta di certo. Damn.
Ultima considerazione: vagliare la possibilità di prenderla meglio. Così. Semplicemente. Un appunto che lascio sulla mia scrivania e che potrebbe tornarmi utile appena il panico si deposita sul fondo, lo sguardo si stabilizza e la soluzione si palesa. Perché credo che me la caverò anche stavolta.
Si può smantellare la propria forma mentis? Non credo.