(772) Affidarsi

Quando ti affidi a qualcuno cedi il tuo potere, la tua libertà, la tua vita. Non ti appartiene più nulla, la persona a cui ti stai abbandonando può fare di te tutto quello che vuole, come e quando vuole. In poche parole: sei finito.

Qualcuno che ti ama non ti chiederebbe mai di consegnarti e diventare un niente da manovrare e di cui – per forza di cose – doversi occupare. Alla fine dei conti si troverebbe con un fardello doppio da trasportare da una parte all’altra della sua esistenza, che sarebbe anch’essa una prigione esattamente come e quanto la condizione che impone alla persona che dice di amare.

Follia.

Un bimbo si affida perché non può fare altro. Ancora peggiore di un mostro è chi se ne approfitta o ne abusa. Eppure, chi si consegna volontariamente decide di regredire, di delegare all’altro la salvaguardia della propria integrità, di retrocedere davanti alla responsabilità di essere adulto. E c’è chi lo chiama amore.

Follia.

Stare in piedi sulle proprie gambe, stare saldi anche se in precario equilibrio, essere interi e a volte a pezzi ma intatti dentro – dove la dignità non viene scalfita neppure per sbaglio – chiedere il vero e offrire il vero senza dubbi né concessioni: questo significa amare. Amare se stessi per amare la persona che abbiamo scelto di accompagnare, che no, non ci appartiene ma ci può sostenere e ci può curare senza per questo pretendere nulla ma ha il diritto di aspettarsi che altrettanto le sia dato.

Come un trick ben riuscito, a bici volteggiante e rotelle in aria, ritornare a terra per continuare la corsa e accorgersi che soltanto se liberi, se interi, se saldi, saremo in grado di riconoscere l’amore. Quello vero. Oppure niente.

Oppure niente.

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(139) Fatalismo

Non sono una che accetta le cose perché così devono essere, lo ammetto. Molto di quello che ora posso considerare come mio è il frutto di questa predisposizione al non considerare gli ostacoli come stop, ma come un test per vedere se quello che voglio lo voglio davvero [forse mi sono arrotolata un po’ con ‘sta frase, ma non ho voglia di srotolarla ora, andiamo avanti].

Detto questo, però, sto valutando proprio ora una sorta di mutazione parziale della mia suddetta predisposizione, solo per darmi un po’ di pace. Seguendo ciò che negli anni la vita ha cercato di insegnarmi e io spesso ho fatto finta di non imparare – ma poi con l’età ho ceduto all’evidenza dei fatti – posso anche permettermi un leggero cambiamento per vedere che effetto che fa.

Dichiaro qui, in questo luogo che mi è caro, che d’ora in avanti adotterò in alcune occasioni (scelte con cura) un atteggiamento vagamente fatalista. Mi affiderò a ciò che il Destino avrà in serbo per me, senza approcciare ogni cosa che non mi piace come fosse un affronto personale. Beninteso, l’istinto ce l’avrò sempre. Beninteso, la predisposizione una  non è che se la mette in tasca e via. Eppure, so che ce la posso fare, che posso abbandonarmi a una certa minima dose di fatalismo in questo momento della mia vita senza morirne per soffocamento o schiacciamento.

Morirò per altra causa.

Sto parlando di cose piccole, sto parlando di quelle cose che anche se le lasci andare come devono andare non ti fanno finire male. Ok, mi faccio una lista e vediamo da cosa cominciare. D’altro canto, con l’avanzare degli anni le forze devi imparare a calibrarle meglio.

Per morire c’è sempre tempo.

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