(872) Calcoli

Non sono mai stata brava a farli, non mi ricordo mai di mettere in conto il guadagno. Così mi ritrovo a smazzarmi una perdita fastidiosa. Una ragioniera perfetta, me l’aveva detto pure la mia prof: “(…) piuttosto di farti diplomare ti butto dalla finestra!”. Mi considerava la rovina della categoria. Per fortuna tutto è relativo, ho cambiato scuola e ho iniziato a prendere 8. Mi sono pure diplomata. Pazzesco come ci si può sbagliare sulle persone. Eh.

In realtà, la vecchia megera aveva ragione: piuttosto di fare la ragioniera mi sarei buttata dalla finestra. Così ho fatto altro.

Nella vita, però, quattro calcoli uno se li deve pur fare, tanto per vedere se i conti tornano e io ho lasciato andare per troppo tempo. L’incubo del Perdite e Profitti mi ha devastato ben oltre il periodo scolastico. Ammetto con stupore, ma senza troppo orgoglio, che rimasugli di buonsenso ragioneristico mi devono essere rimasti impigliati qua e là perché alla fine almeno me ne sono accorta.

Fare i calcoli significa focalizzare l’attenzione su quello che ci metti per confrontarlo con quello che ti rientra in tasca. Spesso le monete non sono le stesse, quindi far tornare tutto diventa complicato. Se ci metti tanto amore e ti arrivano calci in culo è un po’ difficile capire quanto meno amore ci dovevi mettere per non ricevere calci in culo. Magari ci metti un po’ meno e te ne arrivano solo la metà, d’accordo un miglioramento c’è stato, ma comunque non va ancora bene.

[lo so, certi miei esempi fanno impressione, perdonatemi anche questo limite]

Ritornando ai calcoli, a parte quelli renali che quando ci sono ti piegano in quattro e vincono loro su tutto e tutti, si possono aggiustare se li si sa leggere e interpretare. Non è che son così e basta, alle volte non aspettano altro se non di essere sistemati per far funzionare meglio le cose. Capire come fare, con premesse come le mie, diventa complicato. Affidarsi all’ispirazione, all’istinto, al talento, alla visione o alla Madonna-di-Međugorje?

Ci sto pensando. Non ho ancora la soluzione, ma ci sto pensando.

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(139) Fatalismo

Non sono una che accetta le cose perché così devono essere, lo ammetto. Molto di quello che ora posso considerare come mio è il frutto di questa predisposizione al non considerare gli ostacoli come stop, ma come un test per vedere se quello che voglio lo voglio davvero [forse mi sono arrotolata un po’ con ‘sta frase, ma non ho voglia di srotolarla ora, andiamo avanti].

Detto questo, però, sto valutando proprio ora una sorta di mutazione parziale della mia suddetta predisposizione, solo per darmi un po’ di pace. Seguendo ciò che negli anni la vita ha cercato di insegnarmi e io spesso ho fatto finta di non imparare – ma poi con l’età ho ceduto all’evidenza dei fatti – posso anche permettermi un leggero cambiamento per vedere che effetto che fa.

Dichiaro qui, in questo luogo che mi è caro, che d’ora in avanti adotterò in alcune occasioni (scelte con cura) un atteggiamento vagamente fatalista. Mi affiderò a ciò che il Destino avrà in serbo per me, senza approcciare ogni cosa che non mi piace come fosse un affronto personale. Beninteso, l’istinto ce l’avrò sempre. Beninteso, la predisposizione una  non è che se la mette in tasca e via. Eppure, so che ce la posso fare, che posso abbandonarmi a una certa minima dose di fatalismo in questo momento della mia vita senza morirne per soffocamento o schiacciamento.

Morirò per altra causa.

Sto parlando di cose piccole, sto parlando di quelle cose che anche se le lasci andare come devono andare non ti fanno finire male. Ok, mi faccio una lista e vediamo da cosa cominciare. D’altro canto, con l’avanzare degli anni le forze devi imparare a calibrarle meglio.

Per morire c’è sempre tempo.

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