Ho provato a resistere alla tentazione di scriverne, ma alla fine sono italiana e a certi imprinting non si può sfuggire. Quindi: sanremo 2024. Parliamone!
Non riesco più a stare davanti alla TV per ore, la pubblicità e le chiacchiere con cui le serate del festival sono infarcite mi sfiniscono. A me interessano le canzoni, senza neppure troppe premesse. Sei un artista quindi ti prendi il palco e ti esibisci, io deciderò se mi piaci oppure no. Detto questo, assecondando il mio istinto uditivo scelgo quelle canzoni che sono fatte bene, ovvero: quelle che poi canticchio sovrappensiero nei giorni successivi. Stop.
Tra le trenta in gara mi sono piaciute subito “Sinceramente” di Annalisa, “Casa Mia” di Ghali e “Vai!” di Alfa. Non solo per le musiche, anche per i testi e… sottolineo i testi che mentre li canti riesco a capire. Parola per parola. Cantare a raffica senza scandire bene le parole significa fallire l’intento di comunicare il messaggio che – diamo per scontato – hai faticato come un pazzo per far uscire decorosamente.
Ora, però, veniamo ai pezzi che mi hanno veramente entusiasmata: “Ma non tutta la vita” dei Ricchi e Poveri e “Pazza” di Loredana Bertè. La leggerezza e la voglia di portare positività sul palco di Angela e Angelo mi hanno fatto bene, voglio dire… la musica ti deve far stare bene, no? E poi, quella tigre indomata e indomabile della Bertè, che oltre alle gambe ti sbatte sul muso il suo genialmente-schietto-esserci, come potrebbe lasciarmi indifferente?
Si tratta di coerenza, si tratta di mestiere, si tratta di consapevolezza.
I giovani artisti oggi non sanno chi sono, si stanno cercando tra il casino di tutto quello che il pubblico butta loro addosso. Aspettative, richieste, pretese. Quelli che sanno stare in piedi e dritti, nonostante tutto, tengono botta per un po’ e poi crollano. Si dicono fragili, ma sono soprattutto esausti di parare i colpi.
Di colpi, lei, ne ha presi e ne ha anche dati. La sua fragilità è un dettaglio perché lei ha deciso che doveva rimanere un dettaglio: la musica è quello di cui è fatta, la sua forza. Ecco perché credo che sia ancora tanto amata, tanto criticata e ancora tanto amata. E lei lo sa.
Doveva vincere lei, ma sono contenta che Angelina Mango si sia presa il primo posto. Il pezzo diventerà un tormentone, la cumbia è nata per esserlo, e la sua energia unita alla tenerezza suscitata dalla cover di “La rondine” del suo papà ha fatto il resto. Funziona tutto, convince e vince. Ben fatto!
Le polemiche, che mischiano coscienza etica e politica, legate ad alcuni brani in gara erano prevedibili e – forse – strategicamente utili. Fiorella Mannoia potrebbe misurarsi con melodie più originali, gioca sempre sul sicuro ed è un peccato. Dargen ha messo in campo il suo lato impegnato, bene così. Non voglio dilungarmi troppo sui Negramaro, dico solo che il cantato è stato terribile… inascoltabile.
Le cose serie se traghettate con le canzoni fanno rimanere lì, all’ascolto. I sermoni sono urticanti e sempre criticabili. Mi piacerebbe che i sermoni li continuasse a fare il prete in chiesa, non chi sul palco di sanremo deve intrattenere il pubblico per cinque serate. Ovvio che in questo frangente da quarta guerra mondiale ogni forma di divertimento è stonata, ovvio che ci scopriamo ipocriti e facce da culo quando tra una canzone e l’altra inneggiamo alla pace. Noi Esseri Umani siamo così, psicopatici. Tutti.
E, quindi, si ritorna proprio lì: ha ragione Loredana Bertè a dire che siamo tutti pazzi. Eh, sì.
Buon lunedì!
😉
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