Fare qualcosa soltanto per il gusto di farlo, fino a pochi mesi fa mi sembrava fuori luogo. Nella mia timetable le attività sono impegnative, ben focalizzate, funzionali al cosa voglio ottenere. Se non sono nella mia lista to-do, significa che devono essere messe in coda perché non sono una priorità. La consapevolezza da cui ha origine questo mio modus operandi è che la mia energia e le mie risorse non sono infinite, devo utilizzarle al meglio. “Il meglio” è sempre stato l’obiettivo che mi può portare da dove sono a un passo più in là perché procedere sulla strada che ho tracciato è per me vitale.

Condivisibile o meno, questo è il mio modo per crescere e (si spera) evolvere come persona e come professionista.

Detto questo, negli ultimi mesi ho sbalordito me stessa e ho inserito nella mia lista to-do un’attività che non mi porterà da nessuna parte se non nel “qui e ora” e che mi obbliga a impiegare un bel po’ di energia. Lo faccio perché mi diverto? No, non proprio. Lo faccio perché non so come impiegare il tempo? No, per nulla (non sono mai a corto di cose da fare). Lo faccio perché fa figo farlo e poi raccontarlo? No, penso anzi che se lo raccontassi in giro verrei biasimata. Lo faccio per fare del bene a qualcuno? No, non è affatto una scelta generosa o altruistica, tutt’altro. Lo faccio perché mi farà stare meglio? Non credo proprio, no.

Lo faccio perché mi piace. E non so perché mi piace, ma mi piace. Mi impegna ogni neurone che ho a disposizione e non penso ad altro, devo portare l’ascolto a uno stato totale e spostarmi da quello che per me è solito e conosciuto a quello che per me rimane misterioso e illogico (anche se una logica ce l’ha, ancora però non l’ho fatta mia). 

Ho quasi paura a scriverlo, ma sembra che io mi sia fatta un hobby. Cielo! Com’è possibile?!

[pausa musicale]

Quand’ero ragazzina mi piaceva collezionare francobolli perché mi permetteva di anticipare con l’immaginazione quei viaggi che avrei voluto intraprendere da grande: Canada, Venezuela, Francia, Inghilterra, Svezia, Egitto… ne avevo un bel po’. Il papà di una mia amica mi passava quelli che lui aveva già (quelli di cui proprio non sapeva che farsene) e quando mi consegnava queste micro-buste semitrasparenti con dentro il malloppo ero veramente emozionata. “Chissà dove approderò stavolta… “, pensavo. Me li guardavo e riguardavo, infilati nell’album con cura per non rovinarli, mi sentivo ricca. Di possibilità, soprattutto.

Smisi perché sostituii i francobolli con la musica, la musica divenne attivià totalizzante. Viaggiavo meglio, sognavo meglio.

Ecco, però le cose stavano cambiando dentro la mia testa perché con la musica volevo fare qualcosa di ambizioso, volevo che mi traghettasse in un luogo migliore. Non era più un hobby, era un progetto sul quale investire.

Sembra che questo mio focalizzarmi mi abbia portato un bel po’ di cose buone, è stata la mia salvezza. Sembra anche che – a questo punto della mia vita – questa dannata/benedetta capacità mi abbia tolto la leggerezza che accompagna un’azione che fai soltanto per il piacere di farla. Non necessariamente c’è uno scopo prefissato, un obiettivo da raggiungere, un interesse da riscuotere. L’unica motivazione è farlo.

Ripeto, sono ancora sbalordita da questa cosa. Non è facile riuscire a sorprendermi, ma stavolta ci sono riuscita… ho sorpreso me stessa e mi scappa da ridere.

Condivido qui questa cosa da nulla, non come consiglio ma come sfida. Secondo me vi potreste divertire da pazzi.

 

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