(686) Eco

Ci sono dei passi che hai fatto di cui ti porti ancora l’eco dentro, te ne sei accorto? Sono quelli che non finiranno mai, non importa quanto ci stai provando e da quanto tempo, non finiranno mai. Te li porterai dentro per sempre.

Non ho ancora capito se è perché dovevo fare altre scelte e il reminder diventa una sorta di punizione, o se è perché la scelta è giusta ma ancora non l’ho digerita. L’ho fatta, ma soltanto perché andava fatta nonostante il dolore che mi poteva causare. Soltanto che l’ho scoperto troppo tardi che l’eco del dolore non passa mai. Neppure quando non c’è più ferita, neppure se non c’è nemmeno una cicatrice. Mai. Rimane tatuato nel cervello e ti si ripresenta intatto anche a ricordarlo dopo un secolo. Questa è la vera maledizione del vivere.

L’eco stordisce, non sai da dove è partito il suono originale, non sei in grado di contare tutti i rimbalzi che ha fatto per arrivare a te, non sei nella condizione di poterlo schivare. Sei semplicemente sulla sua traiettoria e ti porterà con sé ovunque voglia andare. Mi piacerebbe poterlo prendere al volo, tenerlo in mano per guardare che faccia ha. Sono quasi certa che abbia la mia faccia, sì, non può essere altrimenti.

Penso anche all’eco di quel che ho fatto e ho detto in questi anni, sarà rimasto dentro a qualcuno? Non come una sottile vendetta per chissà quale peccato, no. Sarebbe terribile, non me lo perdonerei. Piuttosto come un’esortazione gioiosa, una richiesta al poter Essere-Presente, alla sostanza delle cose, dei fatti, delle persone, degli incontri. Questo sarebbe bello, fosse anche soltanto in una persona, sarebbe bello.

Chissà se l’eco di me, in qualche modo, riesce ad essere utile al mondo. Chissà.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(312) Temporale

Aria calda che sale e si raffredda, e scoppia il finimondo. Quando scoppia ti lascia senza fiato, può diventare terribile e allo stesso tempo ipnotizzante. Lampi, fulmini e saette, tuoni, pioggia, vento… tutto insieme. 

Ecco, non c’è niente che mi spaventi di più che sentire arrivare il temporale. Sentire che la pressione sale e che è solo una questione di pochi istanti e perderò il controllo. Giove al confronto è un novellino. E sono fatta così, non riesco a gestire con saggezza la mia emotività e, quando scoppio, scoppio e amen.

I miei non sono temporali spettacolari, spesso sono lampi e pochi tuoni lontani, ma riesco a farmi il vuoto attorno ed è quel vuoto di cui ho bisogno. Potrei gestire meglio le cose e me stessa, ma forse è solo una debole consapevolezza che non va a scalfire minimamente la mia intima convinzione.

Tutto si riduce a un niente e un temporale che spazza via tutto fa solo il suo dovere: su quel che rimane si ricostruisce. Come sempre accade, così deve essere.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(237) Pudore

Un senso di opportunità, di rispetto della sensibilità altrui: questo specifica il dizionario. Sinonimo di ritegno, vergogna, discrezione e in questo senso lo sto affrontando.

È un sentimento che mi appartiene profondamente e con diverse declinazioni: il ritegno come senso di opportunità, la discrezione come segno di rispetto della sensibilità altrui, la vergogna quando l’orrore si compie e mi ritrovo inerme e inutile e mancano le parole perché i pensieri si sono svuotati.

Apprezzo il pudore negli altri, quando lo incontro, ma lo incontro raramente. Si sbatte in faccia al nostro prossimo qualsiasi cosa ci riguardi, anche la più intima, la più segreta, come se fosse d’obbligo accoglierla, approvarla, celebrarla. Credo sia ripugnante.

Ci sono scelte delicate, condizioni delicate, posizioni delicate, emozioni delicate che non vogliono essere buttate in piazza alla mercé di chiunque passi. Distogliere lo sguardo, l’orecchio, l’attenzione è segno di rispetto, a volte. Quando è troppo e quando quello che si può fare è niente, l’opportunità del nostro esserci è opinabile.

Il pudore è quella cosa che si muove quando la commozione è profonda e la consapevolezza di ciò che È ti sovrasta. Un sorriso, se è cosa lieta, un abbassare il capo se è cosa greve. Cos’altro fare di più o meglio? Ritrarsi in silenzio, mi è sempre sembrata l’unica cosa possibile quando quello che È mi sovrasta con la sua grandezza, quando terribile e quando magnifica.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF