(860) Pedina

Ci si sposta di casella in casella, spesso seguendo il volere di un dado che abbiamo tirato o che qualcun altro ha tirato al posto nostro. No, è più complicata di così la vita, ma in certi momenti pensiamo che tutto quello che possiamo fare sia spostarci di casella in casella seguendo il volere di un dado. Non ho mai capito perché, perché vediamo solo le caselle e il dado forse. Non lo so.

In diverse circostanze sono stata usata come una pedina da spostare di qua e di là, non dal dado, proprio da qualcuno che mi vedeva così, mi pensava così. Siccome è stato sempre brutto, mi sono sempre guardata bene dal riservare lo stesso trattamento a qualcuno. Non ho mai spostato le persone come se fossero delle pedine sul mio tavolo da gioco. Non gioco in questo modo. Ma c’è chi lo fa, continuamente. Pensa di averne diritto, pensa che così facendo ha il controllo, ha il potere, ha la forza per manovrare la vita degli altri in funzione della propria. E i modi in cui si può fare sono pressocché infiniti. Se è quella la tua intenzione un modo lo trovi. Una vittima la trovi. Eh. Va così.

Per stare tranquilli pensiamo che mettere le cose a posto sia l’unico modo per essere felici. Marie Kondo ormai è diventata l’eroina del millennio: “Tenere in casa soltanto cinque libri è un modo per non rinunciare al piacere del libro e non essere sopraffatti dalla quantità di volumi che teniamo in casa”. Che tenerezza! Senti Marie, ti inviterei volentieri a casa mia ma il solo pensiero che tu sia sopraffatta dalla smisurata quantità di libri che ho in casa mi è insopportabile. Resta pure a casa tua. Senza rancore.

Ma siamo impazziti? Si passa dal possesso compulsivo alla rinuncia a qualsiasi forma di possesso, ragioniamo per estremi opposti come se nell’estremo risiedesse il segreto dell’equilibrio. Siamo, emotivamente parlando, il grande fallimento di Dio. Senza criterio. Follia pura. 

E siccome non riusciamo a controllare la nostra emotività vogliamo controllare quella degli altri. Vogliamo ridurli a pedine, da muovere di casella in casella, da spostare a nostra comodità così da non darci fastidio, così da farci divertire, così da rendersi utili ai nostri fabbisogni. Buttiamo via le persone che sfuggono alla nostra mania di controllo, o cerchiamo di cambiarle perché così come sono non vanno bene. E giochiamo. Da soli. Ma giochiamo. Bravi bambini psicopatici. 

Evviva Marie Kondo.

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(757) Balle

Una certa pace mentale la raggiungi quando te ne fai una ragione. Se fino a un istante prima avresti preso a testate il muro pur di cambiare quella situazione, quando ti rassegni tutto cambia. Certo che rassegnarsi non è la soluzione, ma se il sentimento lo fai durare poco, quel tanto da poter shiftare in modalità me-ne-faccio-una-ragione, allora il grosso è fatto.

In soldoni si tratta proprio di prendere atto della realtà e, anziché combatterla, darla per assodata. Ora: non è che soltanto perché una cosa c’è, esiste, e ti sta schiacciando tu devi star lì a subire. No. Quella cosa che ti sta schiacciando non è lì per schiacciarti per sempre, ma da sola non se ne andrà. Se la spingi via non la sposti, se la fai saltare in aria vai in pezzi pure tu, ma se ti sposti… 

Devi soltanto spostarti. Facile? No, ma almeno non è un gesto impensabile, indicibile, impossibile! Ammettiamolo: spostarsi è alla nostra portata.

Ritorniamo ora alla pace mentale: quando sai com’è la situazione, quando sai che ti devi soltanto spostare, allora te ne fai una ragione. Non sei contento, non sei sollevato (non ancora), non sei sicuro di potercela fare, non sei incurante della fatica e del rischio, no. Sei nella condizione mentale in cui non puoi tirarti indietro perché sarebbe da idioti. Te ne fai una ragione e inizi a spostarti.

Un trick maledetto che ti fa posare tutto il resto – giustificazioni, mortificazioni, frustrazioni – e ti stabilizza in una condizione di ragionevolezza. Stop. La mente ci crede, il cuore ci crede, i nervi ci credono. Tu raccogli tutta questa consapevolezza e ti sposti. Mica dall’altra parte del mondo, basta soltanto di un centimetro.

Io di centimetro in centimetro ho percorso milioni di chilometri. Sembra incredibile, ma li ho contati tutti, uno a uno. Quindi se mi venite a dire che spostarsi è impossibile, vi posso tranquillamente rispondere – facendo ricorso a tutta la pace mentale di cui sono capace: balle.

 

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(650) Compromessi

Decisamente vero. A forza di compromessi si perde la bussola. E io sono sempre stata molto attenta a non cedere in situazioni in cui sentivo che sarebbe stato solo l’inizio e che poi sarebbero stati dolori a ritornare sulla mia strada. La mia strada, sì, perché ognuno di noi ne ha una sua e questa potrebbe anche non incrociare altre strade già troppo battute e bisogna pensarci bene a quello che si lascia o si può guadagnare ad ogni passo che compi. 

Alla mia non più verde età posso dire di aver fatto bene, ho fatto bene perché sono ancora sulla mia strada ed è la mia e io mi ci trovo in equilibrio con dignità intatta. Eppure non è che i compromessi ora non siano più un rischio, lo sono sempre. La mia visione è però cambiata, questo un po’ mi impensierisce. Mi sono accorta che certi compromessi non sono lì per portarti fuori strada, ma per farti guardare meglio la strada. Sembra complicato, ma non lo è, anzi è piuttosto semplice: le cose non sono mai soltanto quelle che vediamo dal punto in cui ci troviamo, sono sempre molto di più. Quel molto di più lo si può vedere spostandoci un po’ di qua e un po’ di là, a volte per farlo bisogna fare un passo laterale un po’ più ampio e quello potrebbe essere considerato un compromesso.

Per avanzare, diciamo nove volte su dieci, spostarsi e abbracciare un piccolo compromesso è quasi la regola perché le cose esattamente come le vogliamo noi non esistono. Non esistono proprio. Nella nostra testa ci costruiamo la situazione ideale senza prendere in considerazione la realtà e le sue dinamiche, eppure ci intestardiamo a rimanere lì ancorati mentre la vita ci sorpassa a destra e via. In questo delirio guardiamo ai compromessi come tentazioni del Diavolo e se abbiamo questa fame di purezza interiore elevata all’ennesima smettiamo di imparare per radicarci nella nostra safe zone

Quindi parliamo dell’entità dei compromessi, così diamo il giusto peso ai pro e ai contro. Piccoli compromessi: sono quelli che ci permettono di agire senza rinunciare a noi stessi – al nostro credo – e allo stesso tempo avanzare in conoscenza, in esperienza, in comprensione. Grossi compromessi: sono quelli che ci invitano – dietro lauto compenso, stile “L’Avvocato del Diavolo” – a snaturare la nostra indole, ad abbracciare una visione distorta di noi stessi e di ciò che vogliamo, a svenderci in cambio di un qualcosa che potrebbe non arrivare mai. Eccomi infine al punto: raccontarsi che certi compromessi son piccolezze soltanto per argomentare il nostro cambio di rotta e crearci degli alibi, non è una buona idea.

Quindi fuori la bilancina, Babs, e vediamo di capire da che parte pende e dove ti vuoi mettere tu. Occhio alla strada, però!

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(440) Partenza

Ho come l’impressione che oggi per me si sia verificata una nuova partenza. Allora, rendere chiaro un concetto che non è neppure concetto ma persistente sensazione, è illusorio, eppure sento il bisogno di scriverlo. Principalmente perché potrei dimenticarmelo, potrebbe scivolarmi via con la doccia che tra pochi minuti farà scomparire questa giornata per lasciarmi intorpidita e permettermi di dormire. Potrei non essere più certa di questa sensazione e mi dispiacerebbe perché so che qualcosa significa. Anzi, significa qualcosa di importante, che mi accompagnerà nei prossimi mesi, nel prossimo anno.

Ho raggiunto una condizione psicologica (provvisoria, ovviamente) che mi introdurrà in una dimensione diversa. Come faccio a spiegarlo?

Comincia tutto con uno sguardo interiore, continua con una percezione del mondo leggermente diverso, e si finalizza con un “ah” (senza punto esclamativo, né altro) che si pone come presa di coscienza istantanea – senza un prima né un dopo, senza un se o un ma, senza un motivo apparente.

Partenza significa che hai preparato i bagagli, ti porterai poche cose perché sai che se la valigia pesa troppo diventa un tormento e ti rallenta il passo. Partenza significa anche affidamento a ciò che sarà, che sai non potrai comunque pilotare e controllare e che va bene così. Partenza signfica anche che non lasci nulla dietro a te, quello che ami lo porti con te – e si va al di là della pura questione fisica, ovviamente. Partenza che presuppone un Arrivo, anche questo fa la differenza, non c’è bisogno di fingere sia altrimenti.

Non mi sposterò granché con il corpo, ma la mente già sta andando. Ora la doccia farà il suo dovere e magari me lo dimenticherò, ma non importa, ormai l’ho scritto e qui rimarrà ad aspettare il mio arrivo.

 

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(114) Altalena

Non mi sono mai piaciute le altalene. Certo, puoi andare in alto se ti spingi per bene, ma non ti muovi veramente, rimani nello stesso punto per sempre (finché scendi, ovviamente).

Mi è sempre piaciuto invece andare veloce: con la bicicletta, con i pattini, anche correndo (finché le mie gambe hanno deciso che ne avevano abbastanza e me la stanno ancora facendo pagare).

Nei primi anni da patentata avevo una Abarth A 112, di ottava mano (credo), che andava come un fulmine e ho rischiato parecchio in più di un’occasione. Non lo dico per vantarmi, ma ero giovane e incosciente. Ora guido con più cautela, mi diverto di meno, ma tengo di più alla mia pelle e a quella degli altri (si chiama: crescere).

Dico tutto questo non so bene il perché, pensavo fosse una questione di altalena (dei sentimenti), ma se sto andando fuori tema è evidente che mi premeva dire altro. Non ho capito ancora cosa sia questo “altro”. Non sempre quando mi metto qui a scrivere so dove sto andando a parare. Diversamente da quando mi metto a raccontare una storia, lì so dall’inizio dove voglio andare a parare.

Concluderò affermando che: andare su e giù in altalena non mi piace neppure adesso, preferisco spostarmi nello spazio. Se succede velocemente, spesso è meglio. Non tutti i viaggi meritano lentezza. 

Ora, se non vi dispiace, fatemi scendere dall’altalena che ho la nausea.

Grazie.

 

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