(926) Regia

Preferisco essere regista della mia vita più che protagonista. Mi piace decidere l’inquadratura, organizzare la scena, controllare i dettagli, accompagnare gli attori che vanno e vengono e guardare sempre l’insieme. L’insieme deve avere una certa armonia. Deve essere bello. Bello da vedere, da sentire, da provare. Deve avere un buon profumo, deve avere un buon sapore, deve essere piacevole al tatto. Voglio essere io a decidere tutto. Quello che voglio nel mio film e quello che non voglio. 

Un lavoro impegnativo.

Certo, per avere il quadro della situazione sotto controllo significa che il copione mi deve essere chiaro in ogni particolare, ogni movimento e ogni sfumatura. In realtà, lo ammetto, lo è solo in parte e lo è in modo strano, tutt’altro che omogeneo. Ci sono gap che non dipendono da me, si chiamano variabili e sono sempre una sorpresa (bella o brutta) e mi comportano un certo fastidio. Ovvio che per come lo penso io, il mio film, è una figata. Eppure, così come sono costretta a gestirmelo, ha dei punti deboli inquietanti: flashback controproducenti, anticipazioni mai foriere di grandi gioie e colpi di scena discutibili. Lo sceneggiatore mi sta facendo vedere i sorci verdi, ma ho deciso che ero la regista della storia e non esiste che mi tiri indietro. Seziono ogni scena e la sistemo per come l’ambiente me lo permette, per quanto gli attori me lo permettono, per quanto le mie risorse me lo permettono. Un togli-metti continuo e… no, non sono soddisfatta del risultato, ma col tempo sto migliorando. Ci devi passare attraverso, e stare sopra e sotto e di lato (in ogni lato) per sapere dove posizionare la camera. Non ne resti fuori. Fuori stanno gli altri, quelli che del tuo film se ne fregano, giustamente. A ognuno il suo.

Una concentrazione notevole.

Perché alla fine, l’attore protagonista può esserlo chiunque, ma se la direzione la lasci a qualcun altro, magari allo sceneggiatore ipotetico, come fai a dire che è il tuo film? Tu sei solo un elemento del film, non possiedi nulla. Forse neppure il senso vero della storia. Devi interpretarla, non necessariamente capirla. Ora, a me piace capire le cose. Diciamo che mi sono allargata un po’ e sto riscrivendo la sceneggiatura che lasciava un po’ a desiderare. Ho fatto del mio meglio per dirigere gli eventi dove trovavo più utile per me che andassero. Non è che con certe premesse si fanno miracoli: un film drammatico può essere infarcito di ironia quanto vuoi, ma alla fine rimane un dramma, come un film comico può essere infiorettato con attimi di poesia, di intensità, di introspezione, ma fino a un certo punto, altrimenti non fa più parte del genere comico. Bisogna essere chiari sul tono e sul passo. Lì è l’indole a farla da padrone. 

Ok, detto questo concludo: sono esausta. Troppa concentrazione, troppo impegno per oggi. 

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(901) Sceneggiatura

C’era una coppia seduta al tavolo davanti al mio. Un’altra al tavolo accanto, un’altra due tavoli più in là. Età diverse, diverse energie. Un paio di loro si parlavano, gli occhi un po’ al cibo e un po’ andavano qua e là nella sala. Una coppia è stata praticamente per oltre un’ora in silenzio. Mangiavano in silenzio.

M’è scesa addosso una tristezza abissale. Ho pensato: “Ma se ti stai scazzando, se la persona che hai accanto ti annoia, ti spegne, perché diavolo ci stai?”. Le risposte possono essere diverse, ma è evidente che loro ignorano la domanda e pure tutte le risposte annesse e connesse.

Nessun sguardo complice, nessun tocco, nessun sorriso. Niente.

I loro corpi avrebbero voluto correre via, e non nella stessa direzione. Le loro voci si trascinavano in discorsi che parevano scritti da uno sceneggiatore di serie D: ritmo inesistente, appeal da bara. E c’era arrabbiatura nell’aria, c’era qualcosa di non detto, c’era qualcosa che ti tirava giù.

Ok, va bene, molto probabilmente mi sono fatta il mio film, del tutto lontano dalla realtà, ma l’energia non mente. L’energia non puoi ricamarla come pare a te, quella si fa presente per com’è senza bisogno di chiedere permesso.

Mi rendo conto che la vita non è una tarantella, che la vita di coppia non è fatta di troppi alti ma di troppi bassi, ma la passione mica te la puoi mettere in un cassetto. Se non sei interessato a entrare negli occhi della persona che dici di amare… fatti una domanda. Se non senti il bisogno di sfiorare la sua mano mentre ti racconta di sé… fatti una domanda. Se mentre la guardi non ti soffermi sulla sua bocca neppure un istante e ti fai scivolare via… fatti una domanda.

Fattela davvero una domanda. Basta una. Quella giusta.

E se ti viene il sospetto che sei lì ma non vorresti esserci, che sei lì ma non te ne frega niente, che sei lì ma sei con la persona sbagliata, allora lasciala libera. Liberala di te e falle trovare la persona giusta, che non sei tu. Non sei tu. Smettetela di darvi infelicità reciproca come se non ci fosse altra soluzione. Smettetela di sommergervi di menzogne con la giustificazione di una promessa, di un impegno, di un futuro che ormai ha perso senso e gioia da tempo.

Che razza di vita vi state cucendo addosso? Vi ingozzate di storie d’amore su Netflix per vivere un quotidiano di mortificazioni e stanchezze?

Ma il detto “Meglio soli che male accompagnati” l’avete mai preso in considerazione? Secondo me dovreste.

Davvero.

 

 

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(13) Realtà

Credo che a un certo punto uno se la deve mettere via: realtà batte immaginazione 10 – 0. Significa proprio che la realtà fa sempre più schifo dell’immaginazione, nel bene e nel male.

Immagini l’incontro con la persona che ti farà innamorare: i brividi, il batticuore, le parole giuste, i silenzi giusti. Poi la incontri: niente brividi, batticuore a fasi alterne, parole o troppe o poche, silenzi che più che altro sono vuoti, o peggio baratri d’incomprensione.

Allora pensi che non sia la persona giusta, tu volevi quella cosa là, quella immaginata così perfettamente. Quella cosa, insomma!

Finisci col vivere la storia un po’ meno, in attesa di quella che tu sai che arriverà perché se l’hai immaginata e ti ha fatto felice allora quello dev’essere. L’immaginazione uccide l’amore, spesso.

Stessa cosa vale quando ti immagini una sciagura: terremoti, tsunami, apocalisse. Ti guardi tutti i film americani sulla fine del mondo (un catalogo ben fornito) e ti immagini che andrà così.

Poi arriva il momento, la tua fine del mondo. Solitamente arriva nel silenzio, ti porta via tutto e nessuno se ne accorge. Non hai neppure il tempo di urlare, la voce se n’è andata assieme alle tue forze. Rimani lì senza sentire niente. L’immaginazione uccide la tragedia, spesso.

La realtà ha una sceneggiatura da b-movies e anche la messinscena lascia molto a desiderare. E non me ne capacito.

Io che vivo nell’universo parallelo che dell’immaginazione si nutre, ripiombo nella realtà di controvoglia, in una via di mezzo emozionale che è più stordimento che sentire. Ogni volta mi vien voglia di telefonare al regista per dirgli che è un incompetente, un fake, un incapace. Che diavolo significa tutto questo?

Solo che sceneggiatura, regia e recitazione fanno capo a me.

Ok, ora mi telefono.

b__

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