(1009) Muta

Ci sono dei periodi in cui mi ammutolisco. Non so se sia per una sorta di cortocircuito neuronale o per sfinimento, fatto sta che smetto di parlare. Soltanto lo stretto necessario. Se sono costretta a dire di più lo faccio malvolentieri. 

Sia chiaro: non lo decido coscientemente, applico la nuova modalità e me ne accorgo soltanto se punto lì la mia attenzione. Più che altro se ne accorge chi di solito mi sta attorno, abituato alla mia voce che va e viene a intervalli sostenuti. Se gli intervalli si dilatano significa che sto affondando in uno dei miei periodi muti.

Il silenzio che si crea dentro di me non è allarmante, è una sorta di limbo dove i rumori sono solo rumori e i pensieri non sono poi così importanti. Perdendo il senso del contenuto, il contenente perde di sostanza. Molto probabilmente.

Non durano tantissimo questi periodi, non potrei però definire una timeline precisa, sono sicuramente ciclici. Al momento ci sono dentro. Non è una grande notizia, ma è comunque qualcosa che voglio far presente a chi mi sta attorno in questi giorni e mi trova strana e più insopportabile del solito. È così. 

Non parlare, o parlare poco, è una condizione che associata a me potrebbe sembrare paradossale, ma i periodi in cui sparisco dalle scene non sono orientati al calcare altre scene, sono quelli che mi vedono in ritiro monacale e che non racconto a nessuno perché sono pieni di cose che riguardano soltanto me. Piccole cose, stupide cose che parlano a me e a me soltanto. 

Non è dove finisco, è dove mi espando. 

Ritornare poi in scena è sempre strano. Quasi doloroso. Sempre strano e stranamente doloroso. Non capisco più che peso dare al contenente e al contenuto e questo potrebbe non essere un dettaglio da poco. Proprio no.

Tant’è

(…)

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(926) Regia

Preferisco essere regista della mia vita più che protagonista. Mi piace decidere l’inquadratura, organizzare la scena, controllare i dettagli, accompagnare gli attori che vanno e vengono e guardare sempre l’insieme. L’insieme deve avere una certa armonia. Deve essere bello. Bello da vedere, da sentire, da provare. Deve avere un buon profumo, deve avere un buon sapore, deve essere piacevole al tatto. Voglio essere io a decidere tutto. Quello che voglio nel mio film e quello che non voglio. 

Un lavoro impegnativo.

Certo, per avere il quadro della situazione sotto controllo significa che il copione mi deve essere chiaro in ogni particolare, ogni movimento e ogni sfumatura. In realtà, lo ammetto, lo è solo in parte e lo è in modo strano, tutt’altro che omogeneo. Ci sono gap che non dipendono da me, si chiamano variabili e sono sempre una sorpresa (bella o brutta) e mi comportano un certo fastidio. Ovvio che per come lo penso io, il mio film, è una figata. Eppure, così come sono costretta a gestirmelo, ha dei punti deboli inquietanti: flashback controproducenti, anticipazioni mai foriere di grandi gioie e colpi di scena discutibili. Lo sceneggiatore mi sta facendo vedere i sorci verdi, ma ho deciso che ero la regista della storia e non esiste che mi tiri indietro. Seziono ogni scena e la sistemo per come l’ambiente me lo permette, per quanto gli attori me lo permettono, per quanto le mie risorse me lo permettono. Un togli-metti continuo e… no, non sono soddisfatta del risultato, ma col tempo sto migliorando. Ci devi passare attraverso, e stare sopra e sotto e di lato (in ogni lato) per sapere dove posizionare la camera. Non ne resti fuori. Fuori stanno gli altri, quelli che del tuo film se ne fregano, giustamente. A ognuno il suo.

Una concentrazione notevole.

Perché alla fine, l’attore protagonista può esserlo chiunque, ma se la direzione la lasci a qualcun altro, magari allo sceneggiatore ipotetico, come fai a dire che è il tuo film? Tu sei solo un elemento del film, non possiedi nulla. Forse neppure il senso vero della storia. Devi interpretarla, non necessariamente capirla. Ora, a me piace capire le cose. Diciamo che mi sono allargata un po’ e sto riscrivendo la sceneggiatura che lasciava un po’ a desiderare. Ho fatto del mio meglio per dirigere gli eventi dove trovavo più utile per me che andassero. Non è che con certe premesse si fanno miracoli: un film drammatico può essere infarcito di ironia quanto vuoi, ma alla fine rimane un dramma, come un film comico può essere infiorettato con attimi di poesia, di intensità, di introspezione, ma fino a un certo punto, altrimenti non fa più parte del genere comico. Bisogna essere chiari sul tono e sul passo. Lì è l’indole a farla da padrone. 

Ok, detto questo concludo: sono esausta. Troppa concentrazione, troppo impegno per oggi. 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF