(1039) Chiuso

A volte si ha l’impressione che basti chiudere per mettere tutto a posto. Non so se per gli altri funziona, con me funziona poco e male. Poco e male. Le cose non si mettono a posto da sole, solitamente mi richiedono parecchia fatica per sistemarsi, e mai troppo bene. Mai troppo bene. 

Ho chiuso diverse volte, pensando anche che fosse per sempre, ma mi sono sbagliata. Il per sempre è una conquista di pochi. Solitamente non mia.

Ho anche provato a non chiudere, ma non è andata meglio, è andata soltanto diversamente. Per un po’. Poi ho dovuto chiudere. Non sono fatta per le mezze misure, mi innervosiscono.

Tutto quello che è chiuso, però, fa venire voglia di riaprirlo, e non è mai una buona idea. Mai. Eppure ci si casca, si riapre, si piomba nella bruciante delusione e si richiude. Possibilmente sbattendo la porta, perché così scarichi un po’ di rabbia per essere stata un’idiota.

Tutto quello che è aperto rischia di venire chiuso. Se non lo chiudi tu e ci pensa qualcun altro non la puoi prendere bene, devi indossare i panni della vittima e farti venire una buona idea per raccontartela meglio. Non sempre funziona. Non sempre è possibile. Non sempre ti viene in mente perché sei troppo arrabbiata.

Il discorso se lo si fa scendere dal vago e generale e lo si indossa, non fa una grinza. Il punto è che tutti i giorni noi chiudiamo qualcosa e chiudiamo qualcuno fuori, e che non è detto che sia per sempre, ma pur sempre vuol dire qualcosa. E passarci sopra con leggerezza potrebbe non essere una cosa furba.

Chi sta fuori e chi sta dentro? Meglio fare la conta.

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(1021) Franchezza

Quando qualcuno ti si presenta alla porta, decidere se farlo entrare o meno è una questione di pochi istanti. Questi stramaledetti istanti ti possono costare cari. 

Si può tenere tutti lì sull’uscio? Diventerebbe un luogo fastidiosamente affollato, ma meglio che il casino rimanga fuori piuttosto che si instauri dentro per fare danni. Sbaglio?

Temo che questo pensiero giunga sempre troppo tardi, a danno fatto.

Nella mia vita sembra che questo entrare sfondando la porta sia la norma, per non parlare dell’uscire senza salutare e senza chiudersi la porta alle spalle (non sia mai). Molto probabilmente suonare il campanello è opzione  di poco valore.

Fatto sta che accogliere qualcuno dentro la propria casa non è cosa ovvia, né di poco conto, e le persone che amo avere accanto non hanno dubbi in proposito: il sorriso è sincero, l’abbraccio è sincero. Sempre. Anche quando ho le palle girate per qualcosa o a causa di qualcuno. Sempre.

Non esiste accoglienza-di-circostanza, non esiste proprio. Si accoglie con intenzione cristallina, altrimenti non si accoglie affatto. Fare come D’Annunzio, che faceva attendere gli indesiderati nella sala d’aspetto apposita facendoli fare la muffa prima di concedere udienza, è inconcepibile. Se ti si presenta alla porta una persona che non desideri vedere, non apri. Semplicemente non apri.

Quindi, quel fare-nonfare o dire-nondire che ti fa barcamenare tra il fraintendimento e il compreso-a-metà è, a mio giudizio, patetico. E se ti sto sulle palle, perlamordelcielo, fammelo capire senza giri di parole che è un attimo togliere il disturbo e sparire dalla tua vita. Grazie.

Ovviamente, assicuro la stessa franchezza.

Prego.

 

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(788) Tornare

Quando il passato torna a galla ci si impone di stare sul chi-va-là. Non è per sfiducia, per-l’amor-del-cielo, ma per cautela sì. Quel frammento di passato ti si ripresenta davanti, non invitato, e tu devi decidere cosa farne. Lo ascolti? Lo ignori? Gli dai spazio? Lo sbatti fuori con un calcio in culo? Ecco, sembra facile ma non lo è.

Il mio presente è costellato da questi eventi, roba da non crederci lo so, una sorta di maledetto loop.

Ogni tre per due mi ricompare un fantasma (che si fa carne e ossa) per chiedermi qualcosa. Mai per darmi qualcosa, beninteso, sempre per chiedermi qualcosa. E allora io – che sono persona scrupolosa – mi fermo, ascolto, valuto, soppeso, rifletto, e poi vedo come muovermi. Nove volte su dieci è un’immensa rottura di balle, nove volte su dieci mi presto a questa rottura di balle in nome di qualcosa che è stato e che non è più e non è più perché ha cessato di avere alcun senso secoli prima. Insomma: una merdaviglia.

Ora: io non so perché le persone pensano di ricomparire nella mia vita, come se niente fosse, per chiedermi qualcosa. Non lo so. Forse perché hanno dimenticato che mi hanno fatto uscire dalla loro vita per una buona ragione, ovvero perché ero inutile. Quindi… vuoi che te lo ricordi? Così ti passa quella parvenza di nostalgia che ti sta confondendo e puoi sfancularmi di nuovo? Va bene, sono qui per questo, non c’è problema.

Eppure, ben sapendo che il tutto sarà fallimentare, io ascolto-valuto-soppeso-rifletto e mi presto a essere usata di nuovo. No, non lo faccio perché sono buona, soltanto perché sono una cogliona e questo deve per forza essere messo agli atti. Lo sto scrivendo perché ci risiamo, un pezzo del mio passato è tornato a galla, s’è fatto un giro largo e mi si è presentato alla porta. Me lo sto guardando e riguardando e so già come andrà a finire, ma stavolta vorrei sorprendere me stessa e provare – per-l’amor-del-cielo soltanto provare, a non rimanerne impigliata.

Se c’è una ragione per tutto questo ancora mi è oscura, però vorrei capire, vorrei davvero capire. E se non ci fosse nulla da capire? Allora vorrei saperlo, grazie. In fin dei conti me le devo smazzare io ‘ste cose, mica chi?

Amen.

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(97) Illuminare

Non è mia intenzione condannare il buio. Il buio è la condizione in cui il nostro corpo si può rigenerare per farci affrontare di nuovo la luce , e quindi il giorno. Se, però, vogliamo allargare un po’ il concetto, nell’oscurità ci sono i nostri mostri personali. Illuminare la zona li dovrebbe far scomparire, questo ci hanno detto.

Ci hanno mentito. Evidentemente.

Non sto qui a puntare il dito su chi e su come ci hanno preso in giro e continuano a farlo. Sono bravissima a polemizzare, ma ora non ne ho voglia. Fatto sta che non basta illuminare la zona per risolvere il problema mostri. Ti piacerebbe, eh? No, una volta che li hai illuminati dovresti pure affrontarli. Affrontarli non significa che li sconfiggerai, non tutti almeno.

Credo che ci siano mostri che son con noi per restarci. Altri meno, quelli li possiamo anche combattere e sconfiggere se facciamo sul serio. I mostri che restano, illuminati, si fanno più furbi (appunto perché illuminati) e son cazzi. Vorrei dirlo in modo più elegante, ma non me ne viene nessuno al momento. I mostri sgamati si infastidiscono di tutta quella luce e si attrezzano al punto da darti il tormento in modi che tu manco ti immagini.

Da lì parte la mia riflessione di stasera: illuminare tutto è proprio proprio proprio necessario?

No.

Se, però, non lo fai manchi di coraggio e un po’ (dentro di te) inizi a farti schifo. Ecco, questo colpo di coda potrebbe rovinarti la vita. Bisognerebbe farci i conti prima di prendere la decisione di restare al buio.

Che poi sbatti il naso contro la porta, il mignolo nella gamba del letto, il ginocchio sullo spigolo del comodino.

Accendi la luce, dai!

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(76) Porta

La sensazione è di essere sulla soglia di questa porta, con chiavistello prezioso, a sbirciare quel che c’è al di là da almeno mezzo secolo.

La sensazione è che questa porta non mi si aprirà neppure tra un secolo per permettermi di varcare la soglia e godermi quello che c’è di là.

La sensazione è che io abbia già provato ad aprirla e varcarla e che io sia stata respinta, a volte gentilmente altre molto meno, in svariate occasioni. Di questo, però, non posso essere così sicura perché…

a volte la sensazione è che io non ci abbia davvero mai provato, tanto sia la mia convinzione che neppure tra un secolo questa dannata porta mi permetterà di varcare la soglia e essere felice.

Sì, di là c’è la felicità. Non può essere che così. Mica sono scema a passare qui la mia piccola eternità per nulla!

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