(854) Rimbalzare

Dicesi Arte del Rimbalzo quell’attività messa in atto da chi ha zero voglia di sbattersi quando gli chiedi di fare qualcosa. Sarebbe loro dovere farlo, ma abilmente trovano il modo di sviare l’incombenza e buttarla addosso a qualcun altro. C’è chi fa di quest’arte una ragione di vita. Da queste persone bisognerebbe stare alla larga o se ci devi fare i conti tutti i giorni bisognerebbe armarsi di mazza da golf per sacagnargli [trad. dal friulano italianizzato “frantumargli”] i malleoli. Come si meriterebbero.

Badate bene: se è uno sport che state praticando al momento, non il golf intendo il rimbalzo, vi auguro di trovare qualcuno che vi fermi con una certa veemenza. Siete pericolosi per l’ecosistema terrestre, sappiatelo.

In natura ogni cosa ha una sua funzione. Ogni Essere Vivente ha una sua funzione. Ogni evento ha una sua funzione. Nessuno si immagina di schivare ciò che gli compete, tranne alcuni Esseri Umani inetti che pensano di adossare agli altri i propri fardelli.

A nessuno fa piacere avere rotture di palle, ma tutti le hanno. Quotidianamente, senza sosta. Se ho un problema che non so risolvere, ma tu lo puoi risolvere perché è il tuo compito, rimbalzare la rottura a qualcun altro è per lo meno cafone. Il rimbalzo offende l’intera filiera. Chiaro il concetto?

Quando qualcuno viene da me chiedendomi di risolvergli un problema che è parte delle mie competenze, del mio lavoro, non chiamo qualcun altro a risolverlo, mi ci metto. Perché è così che dev’essere. Non c’è altra opzione. Se non ci riesco, se non basto io, allora chiamo chi è più bravo di me e può sistemare la cosa. Ma non lo faccio a prescindere. Non lo faccio con l’intenzione di lavarmene le mani. Non lo faccio perché mi sento più furba, più smart.

Sto parlando dell’ambito professionale/lavorativo perché è dove ci sono più rimbalzatori seriali che altrove (sospetto che sia soltanto il luogo in cui si fanno scoprire più facilmente), ma credo che chi lo fa sul lavoro sia abituato a farlo anche nel privato. Si giocano l’asso ogni volta che possono, alzando le spalle e pensando “Sticazzi, arrangiati, fallo fare a qualcun altro”. Così facendo impallano tutto il sistema del dare-ricevere che fa girare il pianeta.

Non stiamo parlando di generosità, sia-mai, stiamo tirando in ballo la coscienza di esserci anche se non è piacevole, anche se non è facile, anche se non è comodo, anche se ti girano le palle, anche se preferiresti andare a nuoto fino in Antartide, anche se hai mille altre buone ragioni. Non me ne frega niente. Pure io ho le mie buone ragioni per non fare, ma non le uso a scapito di qualcun altro.

L’Arte del Rimbalzo è davvero Arte quando la si usa con chi se lo merita e non a prescindere da tutto e tutti. Altrimenti si chiama lavarsene-le-mani, e Pilato è l’unico che è passato alla storia per averlo fatto e non per merito suo, ma per averlo fatto con la persona sbagliata. Sia chiaro.

 

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(838) Artigianato

Non credo nel “buono alla prima” neppure per le idee geniali. Il “buono alla prima” è una scusante per la mediocrità, perché non ti vuoi sbattere più di tanto, perché non lo ritieni così importante, perché hai altro da fare che ritieni più meritevole e per milla altre ragioni.

Le idee geniali possono essere meravigliosamente geniali se rimangono idee, poi si scontrano con la realtà e la materia e perdono il loro smalto. Quindi le devi raccogliere e modellare. Non una volta magari. Magari mille volte. Il segreto è continuare a crederci e non accontentarti. Ma è soltato una questione di quanto lo vuoi. Tutto lì.

Un artigiano che costruisce una sedia non può fare spallucce se la sedia traballa. Se non trova il modo per farla poggiare solidamente, la rifà. Punto daccapo. E ti viene nervoso, lo so, ti prende proprio lo scazzo, me ne rendo conto, ma la sedia non diventa sedia a dondolo solo per alleviarti il fastidio. Vedi tu.

Quando lavori sul far stare in piedi le cose, non sdraiate se è scritto che devono stare in piedi, si tratta sempre di piccoli tocchi che si inseriscono perfettamente in quel contesto. Ci vuole tempo? Certo. Ci vuole pensiero? Certo. Ci vuole dedizione? Certo. E se ci metti tutto questo, e raggiungi il tuo scopo (non è affatto scontato), quando qualcuno dà una manata per scombinare la tua creazione, ti incazzi? Certo. E non poco. Esageratamente.

Puoi mostrarlo o meno (non è scontato neppure questo), ma l’incazzatura è devastante. Chiedi, no? Chiedimelo! Dimmi dove vuoi modificare e ne parliamo serenamente, ci lavoriamo su, rispetta quello che c’è, rispetta il mio lavoro. Rispetta la mia persona. Perdio.

Quante volte arriviamo nella vita delle persone per farci largo a colpi di machete? Le persone si incazzano? Bhé, dovrebbero. Dovrebbero incazzarsi smisuratamente, santocielo. Se non lo fanno ringraziamo il nostro santo protettore, perché ci meriteremmo la mazza chiodata. Così da ricordarci che non si fa. Non si fa. NON-SI-FA.

Come laboriosi artigiani noi ci stiamo modellando, è un lavoro sfinente, è un lavoro che non ci viene pagato in monete d’oro (al massimo con grammi di consapevolezza), è un lavoro che non si quantifica e non finisce mai. Farsi strada a machete spianato nell’esistenza di un Essere Umano è un crimine. Un po’ di delicatezza, perdio. Un po’. Non dico che siamo fatti di cristallo, ma neppure di titanio!

Ok. Anche se non ci credete oggi per me è stata una gran bella giornata, ho interagito con persone che fanno dell’artigianato (personale e professionale) un’opera d’arte e questo mi ha riempito di gioia. Incontrare questo tipo di umanità fa crescere in me la voglia di essere ancora più delicata quando entro nei mondi di chi mi sta davanti.

E si bussa.

Sempre.

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(671) Golf

Negata, proprio. Non è che sono negata soltanto in ambito golfistico, voglio sottolinearlo, ma in special modo. Quindi me ne tengo alla larga così da non dovermi scusare continuamente per la mia inettitudine. In qualche modo si fa, la difficoltà aguzza l’ingegno.

Il punto è che non posso sempre fare così. Questo mi dispiace, mi infastidisce, mi irrita anche, ma non posso fare sempre così. Non posso evitare quello che non mi viene facile, non mi viene bene, mi è scomodo e pesante, non mi piace. Lo vorrei tanto, ma non posso e non è una questione di coscienza o sensi di colpa, no no è una cosa piuttosto concreta: se cerco di schivarle le cose mi attaccano. Giuro. Mi saltano sulla schiena a tradimento e con gli artigli si infilano in profondità, non riesco più a staccarmele di dosso. Robe da pazzi, lo so, ma è così. 

Se non le evito, se le affronto più o meno convinta – anche se sempre infastidita a manetta e con la voglia di spaccare tutto – loro sono meno assatanate, meno crudeli. Come se apprezzassero la buona volontà, a prescindere dai risultati. Non credo sia soltanto una mia impressione, ho monitorato la situazione per anni e sono giunta a questa conclusione con un’analisi piuttosto dettagliata del “come” e del “chi” e del “cosa” e del “perché diavolo” in ogni circostanza affrontata. 

Se colpire con la mazza una pidocchiosa pallina posata sul tappeto verde diventa per me un’attività altamente frustrante, figuriamoci come mi posso sentire davanti a problematiche più serie. Figuriamoci quanta voglia io abbia di affrontarle pensando che non ho scelta o la pagherò ben più cara. Zero proprio. Eppure se riesco a far finta di nulla, se riesco a guardare in faccia il mostro —– allora ho qualche possibilità. Sembra assurdo, lo so, ma le cose assurde sono il mio pane quotidiano, me la sono messa via da tempo.

Il Golf è un’attività come un’altra, si può vivere tranquillamente senza. Per tutto il resto c’è da farsi bene i conti e se non tornano bisogna farli tornare. Amen.

 

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