(918) Stato

Quando mi prende lo sconforto me lo domando: Babs, in che stato sei? 

Domanda retorica, ma salvifica. Mi permette di focalizzarmi sull’autocommiserazione come punto estremo dei miei bassi e da lì non si può fare altro che risalire. Con fatica, ma si risale.

Non farsi la domanda, molto probabilmente, non ti fa scendere dove non vorresti andare, ma allo stesso tempo ti toglie la possibilità di non finirci inconsapevolmente e vivere là in fondo per tanto tanto tanto tempo. 

Mi è stato chiesto ieri, ma era più che altro una constatazione fatta da una persona che stimo molto quindi le sue parole le prendo in seria considerazione: sei sempre incazzata? 

Ehmmmmmmmmmmm…

No, sì, non proprio, boh. 

Fondamentalmente non sono una che vive incazzata, ma credo di esserlo stata un po’ troppo negli ultimi anni. Più capisco e più mi incazzo. Lo so, non dovrebbe essere così, ma l’inverso. Per le persone sagge immagino funzioni al contrario: più capiscono e più se la mettono via. Smettono di incazzarsi e affrontano le cose con un certo distacco. 

Ahahahah. Distacco. Io? Mi dispiace non è contemplato nel mio genoma e il mio connettoma si è settato di conseguenza. Eh.

La stessa persona di cui sopra ha concluso così: no, forse tu sei solo una ribelle. E già lì mi ci sono ritrovata di più, meglio. Dal mio punto di vista se ti incazzi significa che ci tieni. Quando smetti di incazzarti è la fine, c’è il distacco. L’indifferenza. Ecco, io mi ribello all’indifferenza. La trovo disumana.

Quindi, rileggendo il tutto, mi piacerebbe che questo mio modo di prendere le cose non venisse letto come sfogo di un’isterica, ma come attaccamento alle cose umane. Mi interessa tanto la salute dell’Anima Umana. Tanto. E non so il perché, non me lo chiedo neppure il perché. Sento solo che bisogna farci caso, bisogna starci sotto, bisogna tenerci. Davvero. 

Passare sopra alla mediocrità come se fosse di default una parte di noi è da pusillanimi. Da perdenti. 

Girarsi dall’altra parte quando l’invidia, la cattiveria, la violenza si esplicita è disumano. Non ha niente a che fare con noi, con il nostro Cuore, con la nostra Anima. Niente proprio. Ce la raccontiamo perché non vogliamo rogne. Ma ce la stiamo comunque raccontando male perché mortifichiamo la nostra parte bella. Quella che non fa casino, magari, ma che non vede l’ora di esplicitarsi. Non sgomita, e forse sarebbe il caso lo facesse, ma è un attimo tirarla fuori e far stare bene tutti. Noi e gli altri.

In che stato sei Babs? In quello che non accetta la rassegnazione come politica, l’indietreggiare come opzione, il nascondersi come strategia. Se vi sembro incazzata, allora va bene. Se volete andare un po’ oltre, però, sarebbe meglio, perché dentro di voi risuonate come me, soltanto che non ve lo confessate. Pensate di non potervelo permettere. Non è così. Altrimenti sareste morti. E ancora non lo siete. Ricordatevelo: ancora non lo siete.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(428) Riluttanza

Lo ammetto, accolgo le novità con una dose eccessiva di riluttanza, spesso. Le novità mi procurano un fastidio pungente per dover muovermi contro il mio volere al fine di adeguarmici. Se l’ho decisa io la novità, tutto bene, se mi viene imposta, bene mica tanto. Se devo per forza prendermene carico, ok, ma non pretendere che lo faccia sorridendo perché a tutto c’è un limite.

Questo in generale.

Per quanto riguarda le cose che devo fare per forza, la riluttanza assume forme più subdole. Devo farlo, lo so, ma non ne sono entusiasta – usando un eufemismo – pertanto impiego un lungo tempo a convincermi che dovrei esserlo e che finché non lo sono non combinerò niente di buono al riguardo. Una rottura di palle notevole, star lì a convincermi con argomentazioni impegnative mi sfinisce. Non sono una che si convince facilmente, penso sia chiaro a tutti.

La riluttanza è diventata sempre più invadente nella gestione del mio devi-fare, tanto che al fastidio di dover fare si aggiunge il fastidio di dover lottare contro l’invasore-riluttanza e alla fine della giornata sono esausta.

Così non va bene, devo trovare una soluzione. Un modo per gabbare la riluttanza e farla indietreggiare un po’. Mi sta bene che ci sei, bella, ma non esagerare. Il fatto che io ancora non abbia capito perché si sia resa così forte mi inquieta. Forse lo so e non voglio credere che sia vero?

Brava Babs. Ora torna in trincea e combatti. Con riluttanza, ovviamente, estrema riluttanza.

 

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(273) Indietreggiare

La cosa più difficile non è prendere una decisione, è mantenere quella posizione anche quando ti assalgono i dubbi più atroci e pensi di essertela giocata male. Ecco, in quel momento tenere botta non è da tutti.

Indietreggiare no, barcollare ci sta, ma indietreggiare no. Non per un fatto di orgoglio, ma perché è troppo presto, non sai ancora come andrà a finire, indietreggiare significa che non sei convinto, che ci hai pensato poco o male. Soprattutto che hai paura di prenderti le conseguenze del caso, non sei pronto, il che è peggio dell’aver preso la decisione sbagliato. Molto peggio.

Quindi devi startene lì, aspettare di vedere cosa succede e poi, nel caso, se le conseguenze sono più di quello che puoi sopportare, allora ritorni sui tuoi passi, ripensi tutta la faccenda e vedi di cambiare rotta.

Devi solo resistere nella sospensione, barcollare sì, ma non indietreggiare. Mancheresti di coraggio e questo difficilmente te lo potresti perdonare. Come lo so? Perché ti conosco. Se hai letto fino a qui significa che sei come me.

Adelante Sancho!

Share
   Invia l'articolo in formato PDF