(967) Fuga

Mettere in atto una fuga comporta una certa tensione. Non basta volerla, bisogna saperla progettare nei dettagli se vuoi che funzioni. Ogni fuga che si concretizza ti tira addosso una serie di conseguenze, non tutte piacevoli. Una vera fuga, però, non prevede ritorno. Si va il linea più o meno dritta verso un futuro che ti vedrà altrove. Adiós amigos.

Non basta volerla, la fuga, devi anche essere pronto, per riuscire a metterla in atto. Potresti progettarla per anni, senza mai trovare il coraggio per farlo: fuggire è questione anche di fegato. Fuggi perché la situazione in cui stai ti è insopportabile. Non pensi a quanto ti costerà, ma pensi a tutto quello che ti risparmierai se te ne vai da lì. Questione di sopravvivenza, no? 

Se te la prepari davvero bene, non lasci dietro di te la devastazione. In questo senso non è codardia, fai solo quello che se ne va. E qui si riconosce l’artista dal mentecatto. Palesemente.

Io sono una specialista della fuga mentale, che comporta meno rischi ed è meno eroica, ma se la sai gestire bene dà grandi soddisfazioni. Virtualmente parlando è ciò che rende l’uomo libero, l’andare con la mente altrove intendo. In ogni contesto la si può applicare all’insaputa degli altri e senza colpo ferire. È un sofisticato escamotage che ti permette di non delegare responsabilità e scaricare addosso agli altri fardelli tuoi, ma che aiuta a non andare fuori di testa e commettere sciocchezze inenarrabili. Vi ho convinto?

Ecco, perché forse forse forse lo faccio troppo spesso ultimamente. Se ho convinto voi, però, posso convincere anche me stessa. Alla fin fine che sarà mai? Un po’ di distrazione, un po’ di dispersione, un po’ di disorientamento. Solo un po’. 

Eh.

Adiós amigos.

 

 

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(876) Furia

C’è una furia dentro di noi, una furia silente. La sento solo io? Bhé, ognuno sente la sua, ovvio, e non è per tutti uguale. La mia al momento è davvero speciale. Credo che una furia così sia la prima volta che la provo. Già questo la dice lunga. Non è che sono una che la furia la schifa, tutt’altro. Ma così, mai prima. 

Questo da un lato mi incuriosisce – chissà che disastri mi sta preannunciando – e dall’altro mi infastidisce – mai una gioia! – e da un altro lato mi mortifica – ma non ero io quella dell’autocontrollo? – e da un altro ancora – ma quanti lati ci sono? -mi fa temere per quanto sarò capace di fare. So quanto sarei capace di fare in queste condizioni emotive. Lo so benissimo.

Diamo per scontato che i presupposti non si discutono, il motivo è talmente limpido e ben focalizzato che faccio fatica a manomettere la sua solidità. Quindi passando da lì non vado da nessuna parte. Anche la questione di trovare una via di comunicazione adeguata per convogliare utilmente l’energia è da scartare. La furia si è potenziata dopo i numerosi fallimenti assorbiti in questi ultimi tempi. Cosa rimane? La rassegnazione.

Ci si vive così come viene e ci si prende sul muso le conseguenze. Così sia.

No, no. La furia non passa. La furia, dopo che si è esplicitata e dopo aver fatto i morti che deve fare, si posa. Si posa dentro. Si indurisce, come cemento armato, e rimane lì per sempre. La furia non si accontenta di una vittoria immediata, vuole rimanere per godersi i frutti della devastazione. 

Non c’è modo di scamparla.

Evviva.

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(543) Vicinanza

Non puoi fingere, non a lungo. Non puoi nasconderti, non a lungo. Non puoi mantenere alto il livello di rabbia, non a lungo. Non puoi rimanere gelido dentro, non a lungo. 

I superpoteri della vicinanza sono devastanti. E lo sanno tutti. È per questo che chi non può sostenere l’intensità che si crea la rifugge come fosse la peste.

Ecco perché chi teme di sbriciolarsi, di farsi niente, mantiene distanze siderali tra sé e il mondo. Da lontano puoi fingere, puoi nasconderti, puoi essere fuori di te dalla rabbia, puoi restare gelido e inaccessibile. Di più, ancora di più: puoi scagliarti contro chi pensi sia debole, puoi muovere qualcuno o qualcosa affinché qualcosa o qualcuno venga distrutto, puoi sputare su tutto quello che nel tuo intimo vorresti ma che non sai ottenere, puoi mortificare, puoi ignorare, puoi far scomparire girandoti dall’altra parte.

Anche i superpoteri della distanza sono devastanti. E lo sanno tutti, ma sono pochi quelli che hanno il coraggio di scegliere l’altra via perché sicuri che questa sia la più sicura. Sicuramente è la più solitaria. La distanza fa morire anche chi pensa di gestirsela bene, di avere in mano il potere per farlo senza colpo ferire. La distanza non lascia nessuno vivo: nel corpo o nell’anima.

La vicinanza sì, prima ti devasta e poi ti ricostruisce. Pezzo dopo pezzo. La vicinanza potenzia l’amore e gli affida il potere. Lo sanno tutti, ma non tutti pensano di poter sopportare tutta quella intensità. Perché sentire, intensamente, la vicinanza di qualcuno è rendersi conto all’improvviso di non essere soli.

È un vero shock, non c’è che dire.

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(412) Uragano

Forse, in certi frangenti, lo sono stata. Distruttiva, intendo. Magari senza volerlo, soltanto per troppa vita. Boh. La questione è che ormai rifuggo gli uragani emotivi, proprio me ne guardo bene dall’esserne coinvolta.

Per certi versi è un peccato, è come perdersi un pezzo di vita, un pezzo di me. Per altri versi benedico questa mia scelta ogni giorno. Sono una dislocata mentale, ormai lo si è capito.

Virtualmente parlando l’uragano porta in sé potenza e furore, è ipnotico e devastante, ti dà il carico d’adrenalina e in certi periodi della mia esistenza ne avevo bisogno – anche come sorta di autopunizione o giù di lì. A pensarci ora, però, mi domando: ma cosa diavolo mi era preso? Perché mi sono messa in quella stramaledetta cosa? Pensavo forse di essere Wonder Woman?

Sì. O comunque non me ne fregava niente di essere devastata e portata via. Dato di fatto, poco felice ma vero. Mi sono anche chiesta per chi io sia stata un uragano, quanti danni io abbia fatto vivendo, quanti cocci mi sono lasciata alle spalle e se qualcuno ne è rimasto ferito. Facendo qualche calcolo: qualche volta. Non tantissime, ma alcune sì. Mi dispiace? In tutta sincerità, poco. Per un paio di queste proprio per nulla. Sono una brutta persona, lo so.

A mia discolpa posso dire che il mio essere emotivamente un uragano silente ha tratto in inganno anche me stessa, non me lo immaginavo di esserlo fino a poco tempo fa. Questo la dice lunga sulla mia presenza scenica nello spettacolo della mia vita, ma forse questo argomento lo affronterò in un altro dei miei Giorni Così e non ora.

Se l’uragano distrugge, aggiungo, la quiete può uccidere. Vorrei non morire di quiete, sarebbe un finale davvero deprimente. Un fallimento. A volte la vita non ti dà scelta, figuriamoci la morte. Eh.

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(314) Riparo

Un riparo per la pioggia, per il freddo, per il buio, per il vento che ti può spazzare via anche se ti soffia dentro nelle viscere. Dev’essere un diritto di tutti. Non possiamo vivere alla mercé degli eventi confidando sul fatto che se ne resteranno lontani da noi. Succederà pure agli altri, non a me.

Un riparo dagli occhi che scrutano, mani che frugano, avidità che ti depredano. Perché non siamo tutti uguali e confidare nella bontà del Genere Umano è consegnarsi al volere e al potere degli altri e no, non ce lo possiamo permettere.

Responsabilmente, essere presenti nel nostro presente è diritto e dovere al contempo. Perché delegare a qualcun altro ciò che è nostro potere, nostro diritto e dovere, nostro e basta?

Lo vedi subito quando hai di fronte una persona che lo sa, che ci pensa, che agisce in questo senso. E impari.

Un riparo è quel luogo – spesso dentro di te – dove puoi andare quando tutto è caos e devastazione. Grandi Maestri ce lo hanno insegnato e seguirne l’esempio potrebbe diventare la nostra salvezza.

Il punto è: vogliamo salvarci?

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