(1036) Ordinario

Tutto quello che è ordinario sembra essere dovuto, ovvio. Magari. Magari fosse così. L’ordinario è la vittoria (di durata brevissima) dopo estenuanti giochi strategici che mirano a trovare la quadra dove c’è un tondo. Il tondo ritornerà tondo appena possibile e l’ordinario si trasformerà in straordinario. 

Straordinariamente fastidioso, scomodo e idrorepellente (non lo so, m’è venuta così e suona bene, la lascio, per ora).

L’ordinario ha fama d’essere piuttosto noioso e pedante, ma nel suo stare sulle sue è pur sempre rasserenante. Te lo aspetti, lo aspetti esattamente così e ci vieni a patti. Niente di esaltante, le emozioni sono questione del tutto fuori luogo per l’ordinario, ma almeno non vieni ribaltato dalle brutte sorprese. Tutto nella norma. Tutto perfetto.

L’ordinario non ti fa scherzi, sgambetti, tranelli. L’ordinario non ti prende a scappellotti appena volti la testa. L’ordinario si appoggia dove sa che deve (al suo posto) e avviene. Naturalmente. Senza scossoni. Senza drammi. Senza interesse alcuno per il mistero, l’avventura, l’Apocalisse.

Non so perché sia così sottovalutato, l’ordinario, d’altro canto quando si installa a casa tua rende il luogo un rifugio sicuro: nel bene e nel male (sai di cosa si tratta e ti adegui). Fatto sta che l’ordinario sceglie di andarsene appena ti sei seduto un po’, appena nota in te una mollezza che lo innervosisce e che non ti perdona. A quel punto prende e se ne va. 

Arriva al suo posto lo straordinario, che si porta appresso quel brivido oscuro che ti causa attacchi di panico notturni, tachicardia insensata, nausea e vomito a seconda dell’intensità della situazione. E allora sì, eccoti lì ad anelare il ritorno dell’ordinario. A rimpiangere il solito tran tran che ti faceva addormentare sereno e che ti evitava il Maalox e il Lexotan con annessi e connessi. 

L’ordinario se la sta godendo ai Tropici, dove neppure gli squali sono disposti a rendersi la vita complicata. E non si lamentano. Mai.

Meditiamoci sopra. Amen.

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(952) Ospitalità

Dare accoglienza è uno dei grandi piaceri dell’incontro tra gli Esseri Umani. Noi  contemporanei ce lo siamo dimenticato. Sono cresciuta in una famiglia dove all’ospite veniva riservato il cibo migliore, i sorrisi migliori, e il tempo che lui stesso decideva bastasse. Ti mettevi a disposizione di qualcuno che poteva fregarsene di quanto risultava inopportuno o invadente, tu facevi comunque il tuo dovere. Se l’ospite ne approfittava, non riceveva più alcun invito. Ognuno a casa sua.

Questo imprinting è difficile da bypassare, ma non mi dispiace. Parla di totale rispetto dell’altro, in quanto persona ospitata, senza condizioni. Una cosa proprio generosa, una cosa senza senso per i criteri odierni. Ripeto: non mi dispiace affatto di aver imparato a tenere questa posizione, credo sia una grande lezione.

Ho anche imparato, sempre grazie alla mia famiglia, a come ci si deve comportare a casa degli altri: non toccare niente, non parlare ad alta voce, non occupare troppo spazio e non restare per troppo tempo. Il giusto. Seguendo ancora oggi queste semplici regole mi sento a posto con me stessa. Il rispetto non è una parola di concetto, ma di fatti. Piena di piccoli fatti che costruiscono e danno sostanza al concetto.

Sono stata fortunata a crescere in una famiglia che mi ha saputo guidare in questa visione dell’altro-che-non-sono-io. Molto fortunata.

Riflettendo su questo è ovvio che altre culture, altre usanze, altre tradizioni, altre teste possono seguire altre vie –  chi più pudiche, chi più sfacciate – e queste differenze possono causare tensioni e fraintendimenti con conseguenze spiacevoli. Possono. Eppure, se mi rifaccio al mio benedetto imprinting, lo posso comprendere e lo posso maneggiare senza per questo pensare che io sono nella ragione e gli altri – quelli diversi da me – nel torto. Perché il mio spazio me lo curo e me lo proteggo senza fare drammi, per piccoli spostamenti. Perché sono un Essere Vivente e in quanto tale sono in perenne movimento, perché la vita si muove dentro di me e con me (a volte anche contro il mio volere, ma sono una pigra, ormai è risaputo).

In poche parole: benvenuti a voi, chiunque voi siate… ma non sbattete la porta, parlate a volume normale e siate discreti, così che io vi possa accogliere sempre con enorme piacere. 

 

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