(813) Educare

Ci si può educare alla generosità come all’avidità, alla comprensione come al rifiuto. Ci si educa giorno dopo giorno, perseverando in un certo punto di vista, in un certo modo di considerare sé stessi e gli altri. Lo facciamo spontaneamente quando l’ambiente ci preme e la vita ci dà un feedback deludente, se non peggio. 

Ci si può educare al cambiamento, perché non possiamo fare altrimenti o perché valutiamo che quel cambiamento vorrà dire per noi miglioramento.

Puoi educare qualcuno a una giusta condotta, ci vuole pazienza e dedizione, ma può portare buoni frutti. Certo bisogna mettere in conto il fallimento, ma se non molli si possono verificare miracoli importanti. Credo valga sempre la pena provarci, vada come vada.

Puoi educare il tuo sguardo a riconoscere il bello o il brutto, puoi educare il tuo corpo a seguire la musica o educarlo all’immobilità. Puoi educare il tuo orecchio all’ascolto o puoi educarlo a non far conto dei rumori fastidiosi. A tuo piacere. La questione dell’educare ha risvolti interessanti perché prende in considerazione un potere personale che viene affermato senza violenza, con la fermezza e costanza, e prende in considerazione un periodo medio-lungo per poter garantire un risultato visibile.

Educare, venire educati. Quando qualcuno cerca di educarti, se il oggetto della questione stride con il tuo sentire, lo puoi anche vivere come costrizione e umiliazione. Sarebbe utile affidarsi a chi quell’educare lo sa tradurre in accompagnamento e non cede all’impulso dell’imposizione.

Credo che il verbo educare abbia molto a che fare con la dolcezza e l’equilibrio, con la calma e il sorriso. Con queste premesse essere educati prende il senso pieno del vivere bene e del crescere felice.

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(298) Grazia

Si posa. La Grazia si posa. Decide lei dove e su chi, ma ogni volta che lo fa lascia il segno. Non te la puoi dimenticare, non puoi far finta di niente, non puoi voltarti dall’altra parte perché te l’immaginavi meglio di così. Meglio di così non può essere. La Grazia è perfezione.

Racchiude in sé un piccolo miracolo (la si chiede a Dio, infatti) e spesso non osiamo neppure immaginare che possa toccare a noi. Ci sentiamo piccoli al suo cospetto. Ed è così, lo siamo. Senza alzare la voce, la Grazia sa rimetterti al tuo posto. E non puoi avercela con lei perché ne riconosci la superiorità.

Ogni volta che l’ho incontrata, in qualcuno o in qualcosa, ho sentito la dolcezza della vita espandersi in ogni mia fibra. Piccoli miracoli d’amore, senza un preciso motivo, senza un preciso obiettivo, senza bisogno di ritorno alcuno. La Grazia fa così: si rende evidente – ed è un istante – e poi vola via. Rimanendo in te per sempre.

Inchino per Sua Graziosità.

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(221) Carezza

Le carezze io le ricordo, tutte. Quelle di mia nonna per farmi addormentare sono le più preziose perché non le potrò avere mai più. Troppo pure, troppo dedicate, troppo amorose per poter essere replicate da chiunque altro.

Ho imparato da lei ad accarezzare. Non lo puoi fare se non sei nella condizione per farlo, non te la puoi inventare la delicatezza se non la conosci, se non la provi.

Le carezze si imparano per osmosi, se le ricevi impari a farle. Se non sei dell’umore giusto per farle, evita perché lasceresti una brutta impronta che poi si fa fatica a cancellare.

Le carezze sono fatte per togliere la stanchezza dal viso di chi ami, per togliere il dolore, per togliere la tristezza, per togliere la sporcizia di un giorno brutto. Mentre toglie, però, lascia. Lascia la dolcezza di un’attenzione esclusiva e dedicata, lascia la cura, lascia l’amore.

Così sono le carezze. Così devono essere le carezze. Così.

 

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(133) Comunicare

Un mistero che difficilmente riuscirò a comprendere, campassi cent’anni. Studio, lavoro, esperienza… niente. Ogni volta che mi si palesa davanti agli occhi il disastro di una comunicazione fallita/inceppata/sospesa rimango basita. Come le fantomatiche vignette della Settimana Enigmistica: Senza Parole.

Succede di continuo, succede ovunque. Tu credi di aver usato le parole giuste, il tono giusto, la giusta enfasi. Le tue intenzioni sono chiare, cristalline. E oneste, certo anche oneste. Niente da fare, garanzie non ce ne sono.

Il messaggio che lanci con grande precisione, che appoggi delicatamente, che traghetti tra i flutti, che fai rimbalzare gioiosamente, che porgi con garbo, che doni con generosità, che… non arriva. In qualche modo, come per un dannato sortilegio di matrigna vendicativa, si arrotola, si stropiccia, si distorce, si ingarbuglia, si sporca, si rovina nell’istante in cui giunge a destinazione.

Bruciato tutto, istantaneamente. 

Cosa si fa, allora? Non lo so. So cosa faccio io: ricomincio daccapo. Ci riprovo. Senza illusioni, beninteso, ma con una certa determinazione, recuperando brandelli di entusiasmo che pazientemente ripenso e ricucio per di nuovo esporlo al resto del mondo. E sia quel che sia.

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