(1061) Programmazione

Ho provato a vivermi gli ultimi quindici giorni – la mia vacanza – senza programmazione alcuna. Giornate libere. Faccio quello che voglio. Certo, avevo una lista di cose che avrei voluto fare, ma pensavo che quel voler-fare fosse talmente forte da non dover essere costretto a esplicitarsi. Illusa.

Talmente abituata al programmare le mie giornate affinché risultino onorevolmente produttive, ho scoperto con costernazione immensa che non so vivere in altro modo. Il mio lasciar andare ogni lista da flaggare si riduce a un realizzare in concreto nulla. Piccole cose, ovvio che non resto inerme come una Barbie in fondo allo scatolone dei giocattoli, ma tutto il resto sparisce.

Mi è stato consigliato di fare così perché ero a un passo dal burn out e, in un certo qual modo posso anche essere d’accordo con questa diagnosi un po’ spinta, ma me lo sentivo che alla fine me ne sarei pentita. E infatti è così.

Avrei potuto conquistare il mondo in questi fottuti quindici giorni e invece…

Va bene, forse esagero, sto drammatizzando troppo. Si tratta semplicemente di due settimana di riposo. Ho letto (7 libri), ho vissuto il quotidiano (cosa eccezionale per me), ho buttato su carta un paio di idee (eh, mi stavo annoiando), ho programmato i prossimi mesi. Eeeeeeeeeeeeeeeeesatto. Ho programmato i prossimi mesi. Mi sono proprio messa lì a segnare le scadenze e gli impegni, le possibilità e le impossibilità, il da-farsi e il da-finirsi… Ho cercato di fare mente locale e proiettarmi nel marasma di cose che mi aspettano e così facendo m’è salita una certa preoccupazioni, un’ansia da prestazione che metà basta, eppure. Eppure sento che posso farcela, posso maneggiare tutto questo, posso. Quello che non posso fare è lasciare le mie giornate in balìa del mio umore, non posso permettermelo, sarebbe la disfatta.

La programmazione. È lei che mi salva la vita, ormai ne sono certa.

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(877) Confini

Non sono segnati da una mappa, da una cartina geografica, dove diventa preciso il punto in cui poggi il piede in terra non tua. Perché è tua la terra in cui nasci, le altre le fai tue – se vuoi – e sono sempre scelte, anche quando obbligatorie. 

I confini tra me e te quando si oltrepassa il corpo, perché il corpo è un confine che puoi varcare solo se alla dogana te lo permettono, non sono visibili. Bisogna starci attenti.

Difendere i propri confini intimi è un casino, in certi casi è un disastro. Faccio un sacco di disastri in quei casi, riesco davvero sempre a fare un sacco di disastri. Patologico, direi. 

Quando entri in territorio non tuo ti devi imporre delle regole e devi importi una disciplina ferrea nel rispettarle, stai camminando dove non dovresti neppure esserci, non puoi dimenticarlo. Mai.

Eppure. Eppure. Eppure. Si sconfina e si fa un po’ come cazzo ci pare. Così. 

I confini che l’uomo ha imposto alla Terra dapprima erano un modo per prendere le misure – dove sono, fin dove posso spingermi, dove finisce il cammino, cosa c’è qui e cosa c’è là – e poi è stato un modo per difendere le terre addomesticate. E poi è diventato un modo per respingere chi stava fuori, in altre terre, e si spostava. Per ispirazione o per necessità. E oggi è un modo per schiavizzare chi ha meno, perché derubato da chi ha di più. 

Non portando più rispetto per i confini della nostra Terra, quelli segnati dai fiumi, dalle montagne, dal mare, dalle foreste e anche dal cielo, abbiamo pensato di poterci spingere ovunque. Di poter conquistare, conquistare qualsiasi cosa. Si dice anche “conquistare il cuore di una donna/uomo”, vero? Per noi, nel nostro cervello malato, conquista ha il significato di “appropriazione indebita”. Terribile, no?

Vabbé, dirò l’ovvio: dove troviamo un confine ci si ferma. Un attimo almeno. Ci si ferma per valutare quanto sia appropriato varcarlo. Opportuno. Giusto. Ci si pensa un po’ su. Si pesano le proprie intenzioni. Questa è la prima regola. E le altre fanno capo al rispetto, all’ascolto, alla cura. Ma che ve lo dico a fa’? 

Un minimo di disciplina, perdio!

 

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(108) Leggere

Tanto tanto tanto tempo fa sognavo di possedere un potere speciale. Mi interessava così tanto l’Essere Umano (nella fattispecie la sua mente e il suo spirito) che espressi il desiderio di poter leggere il suo animo..

Bacchette magiche e incantesimi non sarebbero bastati, lo sapevo già, anche se ero molto molto molto molto giovane. Lo sapevo già.

Quindi iniziai con il farmi terreno fertile per l’intuizione. Misi in allerta tutti i sensi per imparare, ascoltando e osservando, chi mi stava attorno e cercare di carpirne pensieri e desideri.

Non era mia intenzione varcare la soglia dell’intimità del mio prossimo, ma era conseguenza inevitabile. Anche se il mio interesse era quello di farli stare bene, invadevo silenziosamente territori che non mi appartenevano. Conscia di questo io stessa divenni per gli altri terra off-limits: promisi a me stessa che nessuno avrebbe mai invaso i miei pensieri e i miei sentimenti.

Mantenni la promessa in modo quasi del tutto coerente, caddi un paio di volte nella trappola di chi pensavo fosse pianeta affine e l’errore mi costò caro.

Nel frattempo, però, ebbi modo di sondare perfettamente la mia terra e mi scoprii molto molto molto molto simile a chi avevo incontrato e sondato nei miei anni di studio. Caddero colonne di pregiudizi e di egoici marasmi interiori. Fu come liberarmi per rimettermi in pari con l’Umanità.

Leggere i libri perfeziona il mio studio degli Esseri Umani. Solo che non invado alcun territorio, mi faccio invece conquistare. Senza correre alcun rischio, per di più.

Impagabile libertà.

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