Ho preso molti treni, atteso in molte stazioni per coincidenze propizie, perso molte coincidenze propizie pure. I binari sempre lì, io deragliavo per cause a me estranee eppure invadenti. Ho incontrato altri passeggeri, tanti altri passeggeri, e li ho lasciati correre sui loro binari nella speranza di riprendere i miei. Bello viaggiare insieme, ma soltanto quando il viaggio è lo stesso altrimenti continui a pensare “dove-diavolo-sto-andando?” anziché goderti il tragitto.
I binari sono quelli. Al massimo possono virare (destra o sinistra), al massimo possono incrociarsi con altri binari, ma o ne prendi uno o l’altro, impossibile percorrerne contemporaneamente tre o quattro o cinque o mille. Devi scegliere. Tornare indietro? Sì può, ma la strada ormai l’hai fatta e se hai una meta finisci soltanto con il moltiplicare i chilometri senza arrivare mai. Sei arrivato fin lì? Continua. Sempre avanti, curva a destra o a sinistra, ma non ritornare alla stazione che ti sei lasciato alle spalle. Quella ormai la conosci. Non cambierà per te, non ti accoglierà meglio di come ha già fatto e se te ne sei andato, se hai voluto proseguire è perché lì non ti sentivi comunque al posto giusto. Era un transito, non una destinazione. Semplice.
Veniamo messi su dei binari e ci viene chiesto di farci guidare perché all’inizio siamo senza mappa, senza conoscenze tecniche (come diavolo si guida un treno?). Pensiamo che sia sempre qualcun altro a decidere, quando ci accorgiamo che siamo noi a pilotare in cabina ci prende un coccolone: oddio! A saperlo prima! Oddio! Perché me l’avete detto? Ora come faccio? Con chi me la prendo? Eh. Siamo animaletti complessi, contradditori, fastidiosi, disarmanti. Sui nostri binari facciamo di tutto fuorché ringraziare perché ci siamo.
La meta davanti, alcuni tragitti tra cui scegliere e un’ipotesi come direzione.
E viaggiamo
viaggiamo
viaggiamo
…