Non si tratta soltanto di storytelling, ovvero applicare la tecnica e aspettarsi che funzioni. Ovvio che la tecnica se applicata con discernimento funziona, ma non basta. Ci vuole l’idea. Quella che più la scavi e più la senti vibrare e ti solleva, ti solleva e ti solleva. Se lo senti tu, e se sei capace di mantenere quella vibrazione mentre concretizzi l’immagine, allora è fatta, anche gli altri la sentiranno.

Facciamo una prova? Guardatevi questo commercial e poi ne parliamo:

 

 

Ricomponetevi ora, andiamo a ragionarci sopra. Si tratta di storytelling d’alta quota quindi se non ci mettiamo a fare il punto della situazione ci gira soltanto la testa senza capirci niente (se non che dobbiamo immediatamente riascoltare Bohemian Rhapsody e cantare a squarciagola con tanto di air-guitar!).

 

1° elemento – IL QUOTIDIANO REALE

Saggio di fine anno scolastico, incubo e delizia di ogni genitore. Ansia sparata per ogni ragazzino che la deve affrontare.

Dubbio: il target, quindi, è il genitore medio? O il ragazzino medio?

2° elemento – IL TALENTO

Ogni genitore vorrebbe avere figli extra-dotati (piccoli geni, artisti in erba), ovvio. Ogni ragazzino nel suo immaginario intimo si vorrebbe super-eroe. Inoltre: ogni adulto rivedendosi bambino si proietta in quella stessa ambizione. Ogni adulto vorrebbe provare il brivido di stare sul palcoscenico e ricevere gli applausi di un pubblico in delirio.

Il target quindi si va ad allargare, giusto? In poche parole: tutti. Bambini, adulti, anziani. Tutti.

3° elemento – IL SOGNO

Eccoci al dunque: lavoriamo sul recupero del sogno. La platea è composta da adulti tirati, grigi, imbarazzati, scontenti. Avete notato quelle facce? Ok, ora riguardatevi le facce dei ragazzini: determinati, sicuri di sé stessi, concentrati. Avete notato l’espressione del regista? Un adulto, e potreste essere voi stessi (voi adulti che orchestrate il vostro sogno), entusiasta, se la sta spassando un bel po’, tenendo sotto controllo tutto, anche le reazioni del pubblico che ormai ha preso vita.

Yes.

Queste sono le basi. Andiamo oltre? Ok, quali scelte tecniche sono state fatte per arrivare a una messinscena di questo tipo? Semplice, ma deliziosamente complicato:

1° musica

No, non una musica rock qualsiasi (per quanto trascinante e conosciuta), no. Hanno scelto i Queen (che non hanno bisogno di presentazioni, e sono l’emblema di un immaginario non così estremo seppur fuori dalle righe) e il pezzo più straordinario di tutti i tempi per complessità d’esecuzione e “apertura alare”: Bohemian Rhapsody. E il colpo di genio è stato non mandare il pezzo originale con la voce incredibile di Freddy Mercury, bensì farla cantare ai ragazzini. Una cosa perfetta che avrà ovviamente esecuzione imperfetta, ma EMOZIONALE.

2° messinscena

Avrebbero potuto far vedere ciò che succede sul palco e in platea, ovvio. Non sarebbe bastato. Il dietro le quinte che scopre tutto l’impegno, la professionalità, la passione che questi ragazzini ci mettono (in poche parole IL CUORE della storia) è quello che ti fa salire l’entusiasmo, sei parte di loro in presa diretta.

3° colpi di scena

Come se fosse tutto vero. Lo spettacolo è pensato come se fosse uno spettacolo vero. Non dubiti che sia uno spettacolo vero. Ci sono almeno una mezza dozzina di trovare geniali sparse qua e là: dallo spazio stellare con le navicelle ai robot, per non parlare del coro in galleria che risponde al Galileo dei ragazzini sparsi tra il pubblico con spettacolare stacco su Bismillha e il sorriso del regista (che ora sa come finirà la sua serata – uno spin off ci starebbe, no?).

E, poi, in un crescendo roboante c’è il climax che ci spinge fino in cielo: entra la navicella e l’assolo del baby Brian May!

Sbam.

Bisognerebbe rivederselo almeno per altre tre volte per riuscire ad annotarsi tutto, vero? Ma, veniamo al finale, a quello che rimane dopo che tutto questo è finito. Dobbiamo ricordarci che stiamo parlando di un commercial, la storia è finalizzata al rafforzamento dell’appeal aziendale.

FINALE

Sì, perché se fai un lavoro come questo e poi rovini il finale sei imperdonabile. Quindi bisogna trovare una frase che se non può alzare di un altro metro il tono (più di così è impossibile) almeno riesca a lasciarti lì ancora per trenta secondi immerso nel tuo sogno. Eccola:

 

WHEN YOU’RE PART OF IT

YOU PUT YOUR HEART INTO IT

 

*trad. “Quando ne sei parte, ci metti il cuore”

 

Mission Accomplished. Nulla da aggiungere. Chapeau.

 

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