Il celebre inno al “purché se ne parli” ha fatto più danni che doni. Essere sulla bocca di tutti non equivale all’aver meritato uno splendido successo, quanto piuttosto all’aver combinato qualcosa che ha suscitato critiche e chiacchiere malevole su di noi. Le conseguenze reputazionali possono essere disastrose, anche in un paese come il nostro, che dimentica troppo in fretta e ci passa sopra (soprattutto quando non dovrebbe) con una leggerezza disarmante.

Su dieci persone che parlano di noi, nove ne dicono male, e spesso la sola persona che ne dice bene lo dice male.

Conte di Rivarol

Quanta saggezza in queste parole, Conte!

Ho fatto una lista di tutte le persone che negli ultimi dieci anni ho incontrato e che hanno potuto conoscermi un po’, soprattutto a livello professionale ma si sa che il mio mestiere mette in campo il 100% della mia persona quindi – alla fine dei conti – il loro giudizio non tocca solamente il mio lavoro bensì anche la Barbara privata. Mi sono soffermata su alcune circostanze e alcune situazioni che riguardavano ciascun nome della lista e, oggettivamente parlando, mi sono resa conto che nessuno di loro può dire di conoscermi davvero. Può soltanto raccontare di me quello che ha percepito (a livello sensoriale/emozionale) della mia persona e di quello che ho concretamente fatto per loro e – di conseguenza – se quanto fatto è stato o meno all’altezza delle loro aspettative.

Quello che fai resta, almeno per un po’, è vero… ma non basta. Anche a fronte di un buon lavoro svolto e addirittura di ottimi risultati ottenuti nel concreto, quello che viene riportato può non essere coerente con i fatti. Detto brutalmente: le parole veicolate possono rovinare la reputazione di chiunque in un battibaleno.

Se Joan Jett poteva anche cantarsela, a essere lei l’avrei fatto anche io, è ovvio che noi comuni mortali ci dobbiamo fare i conti. La questione è che compiacere tutti cercando di evitare che si sparli di noi è un boomerang che al ritorno ti fa saltare la testa. Fare da zerbino per paura che qualcuno possa essere infastidito dalla nostra presenza, soprattutto quando le circostanze sembrano imporcelo, è altamente sconsigliato: mortificarsi e auto-flagellarsi sono brutte cose che dovremmo disimparare.

Comportarsi correttamente, con rigore etico, e dare il meglio di sé sono pratiche che non ti evitano nemici, ma ti assicurano sul lungo periodo la salvezza. 

Le malelingue si stancano di te, perdono interesse quando ti pensano sconfitto. Sul lungo termine non reggono, non hanno abbastanza intelligenza per gestire il proprio odio con parsimonia.

Tu, invece, che fai quello che devi fare, e nel bene e nel male ti prendi le conseguenze delle tue azioni, non hai altra scelta se non di continuare a fare quello che hai sempre fatto. La coerenza e la continuità del tuo agire rendono un quadro ben delineato di che persona sei e di quello che vuoi, di quello che cerchi, di quello che lasci di te nel contesto in cui ti muovi. Può piacere e non piacere, ma la tua reputazione – ovvero quello che dicono di te – è qualcosa che puoi modellare e rimodellare perché il pensiero delle persone su di te cambia. Cambia continuamente. Cambia in modo improvviso e incontrollato, malgrado e nonostante tutto quello che tu sei e fai. 

Se riesci a resistere alla tua stessa reputazione, al carico che questa reputazione ha sulla tua vita, puoi mefistofelicamente avere successo. Pazzesco vero? Non esiste il Bene o il Male, esiste soltanto quanto tu riesci a giocare con la percezione che le persone hanno di te. Nient’altro.

Ci sono persone che lo fanno ad arte, e chi come me che se ne frega. E, lo ammetto, potrei aver sbagliato tutto nella vita. Ma anche di questo me ne frego.

“I don’t give a damn about my bad reputation” canta Joan Jett, è un pezzo che mi ha sempre divertita molto, forse perché sotto sotto avrei sempre voluto avere una vera bad reputation di cui cantare.

Stay cool, my friends.

 

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