Chiedere “Perché?” è istintivo, soltanto che da piccoli gli adulti che ci stanno attorno – all’ennesimo perché – ci fanno presente che stiamo rompendo le scatole e smettono di rispondere. Ora che sono adulta ho capito il perché di quel “basta”. La fatica di trovare risposte ai perché è, alla lunga, insopportabile.
Essere messi di forza davanti a un “perché?” può rovinarti la giornata, la settimana, il mese, l’anno… la vita. A seconda della portata di quel perché.
Adesso che sono adulta uso i perché in modo strategico, non soltanto con gli altri, soprattutto con me stessa. So che quando li evito, sotto c’è un problema. E da come vanno le cose, ci sono sempre problemi che pensiamo di schivare evitando di rispondere a un semplice perché.
Dal mio punto di vista, se non ti tiri indietro e arrivi fino all’ultimo perché sei salvo. La risposta all’ultimo perché sarà talmente chiara e brillante che non avrai più scampo, non saprai più dove rifugiarti e… ti verrà da ridere.
Quella risata sarà liberatoria. Forse amara, ma liberatoria.
Una volta che avrai in mano il tuo perché finale, nessuno potrà più toccarti lì dove la ferita bruciava perché quella ferita smetterà immediatamente di bruciare. Non le servirà più farlo perché lo scopo era di attirare la tua attenzione, una volta che la prendi in mano e le dai attenzione avrà altro da dirti e non ti farà più così male.
Questo è il segreto della strategia del perché.
Maggiore sarà il numero dei perché a cui rispondi (con logica di verticalità e non in orizzontale, non è mica un viaggio attorno al mondo è un’immersione in te stesso), e più la paura si farà da parte, mentre la paura si ritrae il sollievo si palesa. Non è che guarisci, ma il carico si alleggerisce.
E ricordati di ridere. Te lo devi.
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