Facile raccontare quel che ci sta attorno, si fa complicato guardarci lucidamente e avere un’immagine verosimile (almeno) di noi stessi. Qualcuno ci deve raccontare chi siamo per bilanciare il peso del “come noi ci vediamo”. Abbiamo bisogno di farci raccontare di noi ogni giorno, da persone diverse, in ambienti che vanno al di là della nostra comfort zone. Ci ripetono che viaggiare fa bene, viaggiare fa bene di sicuro ma se non hai intenzione di ascoltare il racconto di te stesso che il viaggio ti sta dando allora guardati Netflix sdraiato sul divano che è più facile.
Il racconto che mi vede protagonista si intreccia con quello del luogo che mi ha originato, del luogo che mi ha contenuto per un po’ e che mi sta contenendo ora. Tutto questo incasinato storytelling si collega a chiunque io abbia toccato e chiunque mi abbia toccato, dalla nascita al mio adesso.
E certo, magnifico sarebbe poter amare tutti ed essere ricambiati con la stessa intensità, ma forse è meglio rimanga un’idea romantica e che nel concreto si possa sempre scegliere chi amare e da chi essere amati.
Essere italiani non è appiccicarsi addosso un’etichetta, non è neppure una scelta, è un dato di fatto. Lo sei se la terra italiana ti contiene e nel contempo ti contamina. E sarebbe facile semplificare, significherebbe far torto a qualcuno o a qualcosa, basta un niente e si scivola in pregiudizi che sanno di muffa.
Raccontare noi stessi agli altri lo facciamo nostro malgrado, ma che racconto fanno di noi gli altri? Che cosa lasciamo in loro affinché possano raccontarci in modo verosimile (almeno)?
In una storia che funziona la coerenza, la compattezza e l’armonia dell’insieme sono valori che hanno un gran peso. Ogni tanto mi domando se la mia storia sa tenere insieme, saldamente, questi valori e di per sé può essere guardata come una storia che ha valore. E se a volte mi basta l’opinione che ho di me stessa per sentirmi a posto (al mio posto), altre il feedback che ricevo dal resto del mondo ha il suo bel peso. Mi serve per risistemare la mia narrazione personale, diventa la mia presa a terra per cercare una parvenza di lucidità.
Guardare e guardarsi, raccontare e raccontarsi. Non può che essere un gioco di infiniti rimandi e ritocchi ed equilibri che si spostano per ricomporsi. Mai uguali a prima, forse soltanto un po’ più nitidi e consapevoli.
Basta un po’ d’attenzione. Forse.
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