Il “fatto bene” è un concetto leggermente vago, lo so. Eppure proprio per questo permette di spaziare ovunque ci sia uno spiraglio per rifletterci su. Più che una constatazione oggettiva, credo sia una intima consapevolezza che si illumina quando senti che puoi metterci il punto. E poi vai avanti.
Non ha nulla a che vedere con quello che gli altri pensano di quello che hai fatto, bensì di quello che pensi tu che l’hai fatto. Lo hai progettato, lo hai realizzato, lo hai aggiustato finché ogni dettaglio fosse così come per te è meglio che sia. Te lo guardi, lo rigiri sottosopra e per tutti i versi possibili. Lo posi, lì davanti a te. Sospiri. E ti si accende quella luce, quella che illumina l’insegna: “Ben Fatto”.
Sei sorpreso? No, te lo immaginavi quasi così. In realtà speravi risultasse migliore, ma la perfezione è sopravvalutata, l’avevi già messo in conto che non l’avresti neppure sfiorata. Sei soddisfatto? Nì, perché se ci lavorassi ancora un po’ lo potresti migliorare. Sei pronto a lasciarlo andare e passare alla prossima idea, al prossimo progetto? Sì. Andiamo avanti, dai. Hai proprio dato tutto (il mi-esce-dagli-occhi è un’espressione che rende, vero?)e fare di più sarebbe troppo.
Ok, allora basta così.
E se vogliamo proprio toccare la Metafisica della Qualità (che “Lo Zen e l’Arte della Manutenzione della Motocicletta” è sempre un bel leggere):
Alcune cose ci sfuggono perché sono così impercettibili che le trascuriamo. Ma altre non le vediamo proprio perché sono enormi.
Far caso alle nostre Qualità dell’Anima, che ci sostengono mentre cerchiamo di realizzare quello che ci passa per la testa, può aiutarci a schivare il risucchio di quel maledetto buco-nero-altezza-sterno che ingoia tutta la bellezza e la gioia che derivano dal mettersi a fare.
Mentre lo sto scrivendo, Gershwin mi scuote i neuroni e mi sembra di ballare. Ben fatto, George!
Ecco, succede esattamente questo quando il “fatto bene” raggiunge l’interlocutore perfetto: ci si muove insieme. Cosa c’è di meglio? Proprio non lo so.
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