La mia amica più cara lavora in una multinazionale, fa la Controller. Un Controller assiste nella gestione delle operazioni finanziarie di un’azienda, come la preparazione del bilancio e la supervisione del reporting finanziario. Svolge inoltre funzioni essenziali relative alla gestione del libro paga e alla valutazione delle opportunità di investimento (fonte: Randstad). Penso sia il lavoro più ingrato del mondo perché devi controllare che i tuoi colleghi righino dritto per non causare un danno all’azienda.
Ci capiamo? Significa che se hai appena appena la coda di paglia, la coscienza sporca, il Controller diventa il tuo nemico.
Nello specifico, questa multinazionale non se la passa molto bene, anzi. Ci sono evidenti problematiche che riguardano tutta la piramide aziendale, dal top management alla logistica, attraversando ogni reparto. Tutti responsabili, nessuno escluso. La mia amica sta lavorando su presupposti di eticità rigorosi, perché lei è fatta così, lei lavora così nonostante tutto e tutti. Ovviamente, quella che risente maggiormente di questa situazione è – manco a dirlo – lei, gli altri se ne fregano bellamente.
Ognuno continua a non-fare come sempre ha non-fatto e le cose non andranno meglio soltanto perché lo fanno tutti.
Quindi la mia amica deve decidere se restare lì e adeguarsi o andarsene e trovare un’azienda più eticamente in linea con i suoi standard. Ovviamente ha già deciso di andarsene, ma al momento è in pieno burn out e la sua salute non le permette di affrontare un colloquio di lavoro al top delle sue possibilità. Danno su danno, come si può ben immaginare. Lei è esaurita e io incazzata nera, perché so il suo valore e so quanto si meriterebbe una situazione lavorativa sana e non so come aiutarla.
Non sto scrivendo questo post per parlare degli affari privati della mia amica, sto scrivendo perché penso che non sia una situazione così rara. Ormai sembra che lavorare in una grossa azienda sia il modo migliore per nascondere la propria incompetenza, pigrizia, disonestà, ai danni di quei colleghi che – invece – fanno bene il proprio dovere.
A quanto pare la situazione ci sta sfuggendo di mano, essere in burn out non è così raro. Non è che io voglia, qui e ora, andare oltre con l’analisi perché non ne ho le competenze, ma vorrei soffermarmi sulla questione reputazionale del brand.
Il come gestisci l’azienda, il come la tua gestione può causare danni gravi e anche gravissimi ai dipendenti, il come nascondi il tutto con goffi tentativi di comunicazione ammiccante e per-bene non può reggere per molto. Non puoi passarla liscia, il tempo è gentiluomo (assicura il proverbio).
Dal mio canto, per come funziono e per come voglio funzionare, me ne guarderei bene dall’avere tra i miei clienti un’azienda capace di calpestare i diritti umani dei propri dipendenti e al contempo prendersi gioco della buona fede dei consumatori (noi).
La pubblicità non è un modo per ingannare i clienti, non più.
E se, invece, mi sto illudendo e la cosa gira ancora su questi criteri… allora penso sia arrivato il momento di cambiare rotta.
Non è questa la direzione giusta, né per me né per il mio mestiere.
Che sarà, sarà.
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