Ogni volta che mi soffermo troppo sulla domanda “a cosa serve?” so che sono nei guai. Mi rendo conto che passo la maggior parte del mio tempo a non pensarci, specialmente quando sento che la risposta non mi piacerebbe, però a volte mi blocco lì. E la risposta, ovviamente non mi piace.

Non a molto.

Non a me.

A niente. 

E lì so che avrei dovuto ignorarla, avrei dovuto fare altro.

L’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a cosa serve l’utopia?  A questo: serve per continuare a camminare.

Oggi mi aggrappo a questo, perché Eduardo Galeano è sempre stato una di quelle voci che mi parla chiaro, che mi dà una sorta di conforto anche quando non penso di averne bisogno.

E non è che io sia quella delle grandi utopie, ma l’orizzonte lo guardo sempre e non mi disturba se è sempre di diecimila passi più avanti rispetto a me. 

Quello che mi sconforta è che “a cosa serve?” non dovrebbe essere una domanda aperta, foriera di mille possibili risposte.

Dovrebbe averne una sola.  

Ovvia e inossidabile, ovvero: Serve a me, per andare avanti“.

E questa risposta dovrebbe bastarmi.

Una volta per tutte.

 

 

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