Durante la mia giornata capitano delle cose, come a tutti. Ci faccio caso, alcune le ascolto e altre le lascio andare. Come tutti. Scelgo di occuparmi con quelle che supportano il mio equilibrio, ma poi le rotture di scatole prendono il sopravvento. Nove volte su dieci non sono cose che ti giri e spariscono quindi devi proprio prenderle e risolverle il più possibile se non vuoi che rimangano con te più del dovuto. Esattamente come succede a tutti.

Perdo l’equilibrio, riacquisto la posizione e spero che non mi arrivi un uppercut. Andare a tappeto non piace a nessuno.

L’unica cosa che posso fare è individuare le situazioni in cui perdo l’equilibrio e crearmi una controffensiva per non ritrovarmi a tappeto. Non posso fare altro. Funziona? Sì e no. Sì se sono stata brava, no se non lo sono stata abbastanza.

Dopo questo mucchio di ovvietà, cercherò di riportare un qualche senso a quello che al momento mi preme condividere: e se la questione del “essere in equilibrio” fosse sopravvalutata? Cercare di stare perennemente in equilibrio comporta uno stress considerevole, a volte ci stai se lo ignori totalmente e non se lo analizzi fin nelle viscere per cercare di afferrarlo.

Dando per scontato che siamo sempre squilibrati, chi più chi meno, e che stare in equilibrio diventa una sorta di miracolo… puntare la nostra attenzione al mantenerci in equilibrio potrebbe non essere il miglior modo per starci. Quando mi concentro su quello che sto facendo, il mio disagio-vertigine-svarione perde forza perché non gli presto attenzione. Ho altro da fare.

Mentre faccio, il mio equilibrio si mantiene saldo.

Non su di me, io non lo sono (salda, intendo), ma sul pezzo di mondo che mi sta impegnando.

Non sono io il centro, è quel pezzo di mondo il mio centro.

Centro che cambierà, appena mi focalizzerò su un altro pezzo di mondo.

Ritornare a me stessa, dopo che mi sono occupata di pezzi di mondo che ho dovuto creare-modellare-gestire-risolvere-dissolvere, mi fa sentire al posto giusto. La gratificazione, il premio per aver fatto bene quello che dovevo fare, ripristina il mio equilibrio.

Credo che la miglior terapia che possiamo abbracciare per guarirci sia quella del fare e non quella del pensare-ipotizzare-scandagliare al fine di risolvere con la mente quello che la mente riconosce come problema doloroso da cui fuggire per sopravvivere.

Non tutti sono dotati di straordinarie capacità di pensiero, ma tutti sanno impegnarsi in qualcosa per venirne a capo. E sopravvivere.

Quel fantomatico “domani è un altro giorno, si vedrà” contiene l’unica risposta che conta: domani, quando verrà, mi troverà qui. Farò fatica ad alzarmi, molto probabilmente, e a stare in piedi per tutto il giorno, probabilmente, e a dormire serena per tutta la notte (sicuramente), ma ci sarò.

In equilibrio o no, in qualche modo ci sarò.

Come tutti? No, purtroppo non tutti, ma tanti sì.

 

 

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