Ho deciso: rompo il silenzio.
Quando il silenzio si rompe è impossibile ripristinarlo come prima, diventa per forza di cose un nuovo silenzio. Decidere di romperlo è una bella responsabilità perché ne deve valere la pena, non ci si può permettere di rovinare una cosa così delicata per sostituirla con qualcosa di peggiore. Se una coscienza ce l’hai, ovviamente.
Sono 17 mesi, ho iniziato il mio silenzio più di un anno fa e non l’avevo programmato, è soltanto successo. Avevo finito le parole e sembrava impossibile, dovevo impegnarmi a rimettermi in salute. Quindi la prima domanda a cui ho dovuto rispondere in questi lungi mesi è: quando ci si può ritenere guariti? C’è un momento in cui si può decretare senza ombra di dubbio di essere pronti per vivere come se non si fosse mai stati seriamente malati? Mi aspettavo che ci fosse. Mi sbagliavo.
Ho pertanto dovuto scegliere di considerarmi pronta per scrivere. Non come se non fosse mai successo nulla, non sono così evoluta per riuscirci, ma semplicemente perché “scrivere” è per me “esserci”. E ora – qui – mentre scrivo, posso affermare senza ombra di dubbio che ci sono. Semplice.
Non vorrei essere fraintesa, però, mi ero messa in modalità silenziosa ma non per questo mi sono assentata dalla vita. Mentre mi curavo ho continuato a essere attiva il più possibile, viva il più possibile, anche se non come prima. In modalità silenziosa ho cercato di perfezionare la mia capacità di ascolto, di introspezione, di osservazione, di valutazione critica e via dicendo… da una posizione che prima non mi immaginavo, che non volevo, ma che non potevo dismettere, a cui non potevo sottrarmi in nessun modo. Sì, tutto molto assurdo.
Nel frattempo il mondo si è risvegliato dal torpore pandemico per infilarsi in una guerra con veri morti ammazzati, si è aggiunto un trauma ad un altro per preservare una sorta di continuità della tragedia a cui – evidentemente – non sappiamo rinunciare. Dolorosamente assurdo.
E tra i molti personaggi/persone che ci hanno lasciato in questi ultimi 17 mesi c’è anche LA Regina. Quella Regina che c’era sempre stata e che sembrava essere eterna.
Ad oggi, il fatto che Keith Richards ci sia ancora è veramente – veramente – bello.
Diamo per scontato che rimettermi a scrivere qui fosse inevitabile, nel frattempo ho autopubblicato un libro dedicato alla mia professione a riprova che non mi sono mai voluta fermare. Chi mi conosce perché mi è accanto da tempo non ne ha mai dubitato, ma io sì. La conseguenza di questo percorso obbligato si può misurare con un aumento esponenziale delle mie insicurezze e – al contempo – una profonda consapevolezza della me che è rimasta. Partirò da questo punto per affrontare, di settimana in settimana, questioni che mi muovono e motivano la mia scrittura. Non necessariamente i topic che Google Trends suggerisce, non creo così i contenuti e mai lo farò.
Vorrei poter offrire a chi continuerà a frequentare questo mio luogo il meglio di me, come ho sempre cercato di fare. Ma ancora meglio. Sì, lo ammetto, non ho già programmato il come riuscirci, ma ancora meglio è l’intento.
Con gratitudine e un certo magone.
Il magone passerà, la gratitudine non potrà che crescere e crescere e crescere.
Sono pronta.
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