(944) Bacchette

Sì, quelle che usano gli orientali per mangiare. Un’arte di cui bisognerebbe appropriarsi perché porta in sé un sacco di cose buone. La lentezza, per esempio, e giusta quantità, concetti che con le nostre forchette si vanno a perdere sistematicamente. Quindi, ribadisco, noi occidentali dovremmo allenarci a usare le bacchette.

All’inizio c’è la curiosità: come diavolo le devo impugnare?

Questo ti impegna per un po’ perché devi trovare il tuo modo comodo ed efficace per tenerle in mano e farne qualcosa di utile. Tipo mangiare.

Poi c’è il dubbio: come diavolo devo afferrare il cibo senza farlo scappare via?

Qui si tratta proprio di training alla Karate Kid (dai la cera/togli la cera) perché se non provi non puoi capire quanto il cibo che vuoi ingurgitare sia in realtà refrattario alla tua intenzione. Alla prima distrazione sparisce.

Se riesci a venirne a capo (non importa in quanto tempo, non perderti d’animo su!), allora arriva la soddisfazione di riuscire a farti entrare in bocca senza usare le mani dei medi/piccoli pezzi di cibo, e per la fatica disumana che hai fatto ti prendi tutto il tempo che serve per masticarli e sentirne il sapore.

Bingo: il concetto di lentezza è finalmente tuo.

Non te ne sei neppure reso conto, nel frattempo, che se prendi pezzi troppo grandi devi tagliarli coi denti e perdi concentrazione e il resto ti sfugge e che se raccogli un chicco di riso o di mais per volta ti ritrovi solo al tavolo perché la gente c’ha una sua vita e non la vuole sprecare guardando te che ti nutri. Non te ne sei reso conto, ma dentro di te cade, come una pietra fondante, la consapevolezza che se non raccogli il pezzo della giusta dimensione e nella quantità giusta sarai travolto da conseguenze snervanti che ti faranno diventare una brutta brutta brutta persona.

Bingobis: ora sai che il troppo e il troppo poco non vanno bene e che la ricerca della giusta quantità è lo scopo della vita. Di qualsiasi vita.

Le bacchette sono Maestre in questo: insegnano mentre sei impegnato a nutrirti e quindi non sei più concentrato su quello che pensi ma su quello che fai per sopravvivere. Se qualcuno ha nascosto tutte le forchette che c’erano in giro. Ovviamente.

 

 

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(669) Cibo

Credo sia l’argomento più delicato che si possa toccare – escluso il tema delle religioni – con chiunque. Ognuno ha la sua teoria e ognuno ha la sua pratica, ognuno si sente punto sul vivo quando un commento anche innocuo sfiora l’argomento e ognuno ha prove certe e insindacabili che si può morire di un certo alimento o dell’altro, tutti esperti, tutti scienziati. Tutti.

Io no. Ho provato una volta sola in vita mia a seguire una dieta, poteva funzionare, certo, ma non ha portato risultati duraturi e soddisfacenti, ma mi ha fatto odiare i ceci (ndr. è una lunga storia). Il punto è che più uno mi impone di evitare certi alimenti e più vengo presa dall’ossessione per quesgli stessi – che magari prima non avevo mai considerato. Psicologicamente parlando sono da manuale, nei fatti mangio quello che mi pare.

E non mangio fino a scoppiare, no. E non mangio come un uccellino, no. Mangio le quantità di cibo che mi sento di mangiare in quel momento, mangio se ne ho voglia e se non ne ho voglia salto il pranzo o la cena. Sempre la colazione, fare colazione per me è la morte. Puoi ripetermi allo sfinimento che la prima colazione è il momento topico della giornata, non me ne frega niente. Al mattino non ho voglia di mangiare nulla, e non mangio nulla finché il mio stomaco non mi fa capire che ha bisogno di essere riempito.

Non sono vegana, né vegetariana, né fruttariana, né crudista, né mangio carne ad oltranza oppure pesce… sono una banalissima onnivora. Onnivora, ma con gusti ben precisi. Soltanto certa carne, soltanto certi tipi di pesce, la frutta quasi tutta, i formaggi molti ma non tutti, la verdura sì ma non tutta e non sempre, evito gli insetti e animali troppo esotici o quelli che proprio non me la sento di mangiare perché preferirei averli come compagnia. Dipende dalla stagione, dipende dall’umore, dipende da come sto fisicamente, dipende da quello che c’è e da quello che non c’è, dipende. D-I-P-E-N-D-E.

Non tutti i giorni ho voglia di mangiare le stesse cose, non tutti i giorni mangio le stesse cose o le stesse quantità o le stesse varietà di alimenti. Il mio quotidiano non è regolato come se fossi arruolata nei marines o come se fossi una modella, sono una persona normale e come tale mi gestisco: a seconda di come mi gira.

Non faccio abuso di cibo, né di alcool, né di cioccolato, né di caffè. Quando esagero mi rimetto in riga senza bisogno di farmi pesare da qualcuno che mi vuole magra, che mi vuole far perdere un tot di chili alla settimana – cascasse il mondo – e se così non avviene mi si rimprovera del fallimento del programma alimentare deciso con bilancini e strategie nutrizioniste. Io non ho intenzione di piegarmi a nessun regime, neppure quello alimentare, serve dirlo?

Il Dalai Lama ha affermato che qualsiasi cibo gli venga offerto lui ringrazia e mangia. Non tutti hanno la fortuna di poter mangiare tutti i giorni, sarebbe un disprezzo per chi non può. Sono d’accordo. Nient’altro da aggiungere.

Il cibo è sostegno ed è piacere. Giù le mani dal mio cibo. E non sto scherzando.

 

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