(1049) Unica

Non ho mai avuto l’amichetta immaginaria, anche perché non ne avevo bisogno visto che vivevo in un paesino dove c’erano un mucchio di bambini di tutte le età e restare soli diventava pressocché impossibile.

Ecco, a dirla tutta, riuscivo a ritirarmi in solitudine, sparivo per un po’ e lì – ovunque fosse – mi parlavo. No, ripeto: non avevo un’amica/un amico immaginaria/o, ero ben conscia delle storie che mi raccontavo e di ciò che facevo succedere. Potevo gestire i dialoghi esattamente come volevo io: il botta e risposta non andava mai a perdersi, ci si capiva. Era piuttosto soddisfacente.

Ora, pure se sono cresciuta e invecchiata, tendo a farlo ancora. Mi faccio dei gran discorsi e mi immagino dialoghi frizzanti e ritmati dove succede di tutto e tutto quello che succede lo decido io. È ancora piuttosto soddisfacente, bisogna dirlo.

Non parlo mai di politica né di religione, so bene quello che penso di entrambi gli argomenti, e non ho mai voluto scrivere di politica né di religione qui dentro. Oggi sono stata sopraffatta dagli avvenimenti di queste settimane: la Siberia che brucia, le centrali nucleari che scoppiano, le persone che muoiono in mare, le bufere che si abbattono random in tutta la penisola, il confino dei bimbi negli Stati Uniti, le proteste sacrosante a Hong Kong, il nostro parlamento che è diventato un circo… tutto insieme è oggettivamente troppo, ammettiamolo.

E non è che non ne parlo perché voglio sempre avere ragione, non ne parlo perché sono veramente senza parole. Provo un profondo scoramento, una vergogna senza pari. Vorrei succedesse qualcosa di buono, buono per tutti. Vorrei svegliarmi e trovare un mondo umano diverso, migliore. Vorrei che tutta questa merda fosse inghiottita da un buco nero e che si rimanesse qui il numero giusto che è quello delle persone perbene. Ecco.

Sono infantile, me ne rendo conto, ma i discorsi intelligenti li sanno fare gli altri, io qui dico soltanto quello che mi passa per la testa e senza che questo conti qualcosa per nessuno e, forse, neppure per me (che non sono unica).

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(396) Jerk

Arriva per tutti il momento in cui anziché affondare il colpo si decide – anche controvoglia – di girare i tacchi e andarsene. In quel preciso istante il calcolo che la tua mente riesce a fare, preciso all’inverosimile, è che semplicemente non ne vale la pena. Il costo dell’energia che ci devi mettere va al di là del risultato che otterresti. Non ne vale la pena. E te ne vai prima di cambiare idea e far partire un diretto al naso che è lingua universale e funziona a meraviglia – non viene mai frainteso. 

Il sunto di questo tuo gesto pieno di buonsenso, quello che ti vede andartene e lasciare il potenziale luogo del delitto, si può riassumere nell’assioma:

Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza.  (Oscar Wilde)

Una volta attraversata l’esperienza, però, ti rimane quel pugno non dato che ti pesa nella tasca e ogni volta che ci ripensi ti dai del cretino. Dovevo farlo, per una volta nella vita dovevo scendere a compromessi con la mia etica e la mia dignità e avrei dovuto spaccargli il naso. Certo che sei contro la violenza, certo. Certo che hai fatto bene ad andartene, certo. Certo che se ricapitasse lo rifaresti di nuovo, certo. Eppure, una volta nella vita quel pugno bisogna tirarlo.

Chiamiamola pure una questione di bilanciamento – tra torti e ragioni, tra giusti e sbagliati, tra intelligenti e cretini, tra colpevoli e innocenti. Un dannato bilanciamento che va al di là della compassione, dell’orgoglio, della buona creanza. Un bilanciamento che faccia quello che deve fare, in modo semplice e senza troppo sottotesto: riportare i pesi in equilibrio.

Una cosa, però, bisogna che sia chiara: ogni pugno che ci siamo risparmiati ha aggiunto il suo peso, la sua cattiveria, a quello precedente. Se aspettiamo troppo a liberarlo, la sua portata diventa pericolosa e il risultato distruttivo, pertanto, scegliere bene il bersaglio è un atto di dovuta responsabilità.

Vado giù di lista e di profonda riflessione.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF