(964) Stiletto

Ci sono parole che pungono, altre che accarezzano. Ci sono modi, toni, che scuotono, altri che rassicurano. Ci sono voci che assaltano, altre che accompagnano. Dipende dalle intenzioni, dal sentimento che traghettano, dalla persona da cui scaturiscono.

Certe parole in bocca a un estraneo neppure le senti. Se escono da chi ami è tutta un’altra storia. 

Quando sappiamo che colpire il quel punto provocherà dolore e decidiamo di colpire comunque, siamo imperdonabili. Sarebbe obbligatorio scusarci, spesso non ne abbiamo il coraggio. Ci vuole una bella tempra per chiedere scusa e sentire davvero la vergogna di aver ferito qualcuno volontariamente. 

Quanto riusciamo a perdonarci soltanto perché abbiamo imparato l’arte dell’autogiustificazione? Non ci giudichiamo mai crudeli, siamo sempre stati portati a dare quella fatale stilettata per un motivo o per l’altro. Inevitabilmente abbiamo dovuto reagire così. Inevitabilmente è andato a buon fine il colpo che abbiamo tirato. Doveva andare così. 

Ti ho fatto male? Pazienza, la prossima volta evita di portarmi fin lì. Fermati prima.

Ci deresponsabilizziamo volentieri. E andiamo avanti. I danni che ci lasciamo alle spalle non ci riguardano: brandelli di fiducia e risentimenti sparsi ci sembrano poco importanti.

Finché un giorno toccherà a noi raccoglierli e non sarà un bel giorno. Ma pazienza, bastava fermarsi un po’ prima e non l’abbiamo fatto.

Pazienza.

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(572) Levigare

Ho sempre lavorato sul levigare le increspature del mio carattere con l’intento di ricavarne una superficie liscia, piacevole al tatto. Se per certi versi penso ancora che ci fosse bisogno di farlo, per altri mi rendo conto che forse non mi sono fatta un buon servizio. Forse ho sbagliato a focalizzarmi sull’essere piacevole agli altri, quasi fosse un obbligo, quasi fosse un dovere, quasi fosse indispensabile per essere come gli altri. 

Gli altri chi, però? Attorno a me c’erano e ci sono ben pochi Esseri Umani levigati, ognuno di loro ha imperfezioni e sanno essere persino splendidi a volte! Anche per gli altri oltre che per se stessi, bisogna dirlo.

Io per quanto mi ci sia impegnata, non sono riuscita a levigare ogni angolo di me, anzi, e negli ultimi anni ho lasciato perdere. Non volentieri, solo per stanchezza. La vivevo come una sconfitta, come un percorso non terminato e quindi inutile.

Valutato che per me non capire un cavolo è prassi, almeno non subito e non perfettamente, mi sto risvegliando da questo profondo sonno, dove giudicarmi e fustigarmi era la regola, per – forse – iniziare a rivalutare le nodosità del mio carattere. In poche parole, ho riposto la piallatrice e sto valutando la superficie di certe zone della mia personalità che sono emerse di recente: quelle implacabili, quelle risolute, quelle severe, quelle indigeribili, quelle urticanti, quelle pedanti, quelle irascibili e molte altre ancora. Non me ne frega niente di risultare piacevole, non più. Si vede che qualcosa dentro mi è morto o forse è nato, qualcosa di diverso da prima c’è e anche se non capisco che cosa sia non cambia nulla, devo comunque adeguarmi.

Una superficie liscia fa scivolare ogni cosa, senza curarsi di trattenere nulla. Lo dovevo capire molti anni fa che non sono nata per questo, non ho gli anticorpi giusti e neppure l’astuzia giusta. Io ostacolo, trattengo, assorbo. Ci sarà pure un motivo per cui sono così. Magari prima o poi lo scoprirò. Magari.

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(149) Segreti

Non sono una fan dei segreti, penso che meno ne hai e meglio dormi. Mi sono accorta, però, che ho sempre dato a questa parola un significato pari a mancanza di chiarezza/onestà. Forse le ho fatto un torto.

Mi è successo sovente di essere stata fraintesa nonostante il mio cercare di attenermi alla chiarezza, nei rapporti umani che intessevo. La chiarezza, in questo ambito, è diventata per me con il tempo una solida utopia.

Riprendendo in mano il concetto di cui sopra, non credo più che avere degli angoli segreti dentro di te – dove riporre le cose più preziose – sia correlato alla mancanza di onestà. Credo sia, invece, un buon modo per proteggersi dalle burrasche incontrollabili, quelle causate dalle reazioni di chi ti sta attorno quando, anziché comprendere, vuole giudicare.

Non ho mai forzato la porta di una stanza segreta altrui, penso sia un luogo che deve rimanermi inaccessibile. Non mi fido della mia capacità di accettazione. Voglio evitarmi di cadere nella trappola del facile giudizio sparato lì solo perché lì c’è qualcosa di delicato che si mostra.

Pretendo sia questa la posizione di chi vuole starmi accanto. Lo chiamo rispetto ed è sacro.

 

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