(859) Excursus

Ieri sera ci sono cascata. Ho aperto il bauletto delle foto d’epoca. Quello che raccoglie la me bambina, la me adolescente, la me giovane donna fino a qualche anno fa (poi è arrivata la fotografia digitale e non ne ho stampate più). All’inizio l’ho fatto per uno scopo, me ne serviva una in particolare, non sapevo dove fosse finita e immaginavo fosse lì dentro. Immaginavo bene. Solo che lì dentro c’era anche il resto della mia vita, che mi ha inchiodata, e ho finito per sfogliare ogni album che avevo riposto in archivio. Maledizione.

Mentre guardavo ricordavo. Cercavo soprattutto di ricordare come stavo, come mi sentivo quando quella foto fu scattata. Solitamente stavo bene. Sollievo (ricordo sempre i momenti in cui sono stata male, ho questa perversa deviazione della memoria che alimenta la mia latente autocommiserazione). Ripeto: stavo bene.

Me ne sono andata a letto con una sensazione strana, ma l’ho messa da parte, non avevo voglia delle mie solite menate.

Stamattina senza accorgermene ho ricominciato a pensarci e mi sono scoperta – con sorpresa, lo ammetto – contenta. Ho iniziato a pensare a tutte le cose che ho fatto, a tutte le persone che ho vissuto, a tutti i posti che ho visto e le situazioni che ne sono scaturite. Diamine, ne ho fatte di cose! Ecco, mentre le facevo non è che era tutta una gioia, ma ero presente con tutta me stessa e quelle cose – al di là delle foto – sono rimaste attaccate al mio DNA, supportandolo quando i gap tradivano le aspettative. 

Andando oltre la voglia di tornare ai miei diciotto anni, che festa spettacolare!, e alle persone che mi mancano (ma indietro non si torna), non posso che guardare a quanto è stato come a un’avventura bellissima. Davvero. Non dico che rifarei tutto perché certe stronzate se le evitavo era anche meglio, ma ormai che le ho fatte è bene che rimangano lì e che di tanto in tanto le ricordi.

“Quant’eri folle, Babsie?”, un bel po’.

“Quanto lo sei ancora?”, bhé, guarda, sotto sotto… anche di più.

Ma questa è materia per un altro post, molto probabilmente. Forse.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(685) Compagnia

Essere in compagnia non mi è mai bastato, essere in buona compagnia ha valore per me. Piuttosto da sola che con le persone sbagliate. Essere in tanti mi fa girare la testa, essere in due mi pianta bene a terra. Posso ascoltare meglio, posso conoscere meglio.

Partendo da questi presupposti suono stramba e magari anche sfuggente, a volte. Per chi non sa di me, per chi non si cura troppo di sapere. Una volta ci facevo caso, ora non m’importa più. Nella mia crescita s’è inserito un certo distacco dal giudizio degli altri, gli altri a cui non serve guardare perché già sanno tutto. Beati loro.

E poi, quel essere-in-due che diventa coppia e diventa disegno di vita è una questione che tira in ballo troppe cose. Davvero troppe. Gli incontri nella vita li puoi forzare fino a un certo punto, i sentimenti non li puoi ritagliare per inseguire la moda o per combinarsi meglio con i tuoi interessi. Mi domando spesso se le mie scelte siano state dettate più dal mio volermi bene o dal mio volermi male, la risposta più sincera è che il bene ha finito per vincere su tutto. Era così che doveva andare.

Essere in due per non essere soli non funziona in nessun mondo, in nessun modo, per nessuno. Essere in due per colmare vuoti, per accomodare il quotidiano, per mettersi al riparo da ogni possibile tempesta: ingenui tentativi che preannunciano montagne di sofferenza. Non si mercanteggia con l’Anima, anche se ti sembra di averla convinta, Lei non cede. Tu sì. Se non subito, tra un po’, e Lei lo sa e ti aspetta lì, esattamente dove cadrai.

C’è solo un modo, per me, di immaginare di essere in due ed è quello che in una ipotetica foto mi mostra come sono. E mi mostra sorridente. Non ci sono compromessi, non ci sono preghiere, non ci sono miracoli all’orizzonte. Ci sono gli incontri, e un certo tipo di incontri non sono programmabili. E a desiderarli non si accorciano i tempi, tutt’altro.

C’è una sorta di ineluttabilità in tutto questo che non riesco ad accettare. Credo che il problema sia tutto lì. Maledizione.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF