(1020) Comodità

Scelgo scarpe comode e, comunque, con le scarpe sbagliate fai poca strada. Questo in generale. 

Scelgo scarpe che immagino potrei indossare senza vergognarmene. Quello che offre la moda mi rimbalza, scelgo basandomi su come mi posso sentire portando quelle scarpe abbinate ai vestiti che ho in guardaroba. In verità sono piuttosto concreta: le decolte tacco 16 son belle su qualcun altro, non certo su di me.

Ogni tanto penso ai piedi delle Geishe, vittime della pratica del Loto D’Oro, e penso a quanto dolore venivano sottoposte. Penso che andare lontano con dei piedi così sarebbe stata una Via Crucis, ecco perché era facile tenerle prigioniere. Avrebbero percorso mille miglia correndo avessero potuto farlo, ne sono sicura.

Negli anni ho avuto delle scarpe talmente comode e belle (a mio parere) che le ho consumate a forza di indossarle fino all’ultimo passo possibile. Non riuscivo a rassegnarmi che la nostra storia d’amore fosse costretta a interrompersi. È stato doloroso. Eh, tendo ad affezionarmi alle cose belle.

Tutto questo per dire cosa? Non lo so. Forse sono stata ispirata dalla mia amica sciatica che è ritornata alla riscossa e pretende calzature di un certo tipo. Forse sono infastidita dallo show delle ciabatte estive che non stanno bene a tutti e bisognerebbe tenerne conto. Forse i piedi delle Geishe mi hanno traumatizzato più di quel che pensavo, forse sono irritata dal fatto che non riesco a trovare della scarpe come dico io e mi sono rotta di girare di negozio in negozio sperando nell’incontro del secolo. Forse sono solo in affanno e ho bisogno di una vacanza.

Vabbè.

 

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(649) Incertezza

Il leitmotiv della mia esistenza. No no, mi rendo conto che sono in buona compagnia e che ben pochi Esseri Umani sono così fortunati da infischiarsene bellamente dell’incertezza del vivere, ma io con il mio carico di Incertezza voglio farci pace. Cioé vorrei riuscire a guardare serenamente in faccia questa montagna che mi sta davanti – e mi fissa minacciosa – e far presente le mie ragioni. Senza bisogno di discutere, possiamo trovare una base comune su cui costruire un rapporto più costruttivo, no?

Voglio dire che farmi vivere con quest’ansia famelica per tutta la vita a chi giova? A chi? Di certo non a me, ma neppure a te, Incertezza mia… vero? Visto che stiamo convivendo in un corpo solo, cara Incertezza, non è che possiamo trovare un modo meno distruttivo di gestire le cose? Facciamo che riduci il tuo spazio dentro al mio cervello di un buon 60%, e il gap lo facciamo colmare per un 10% alla pace mentale, per un 10% alla saggezza, per un 15% alla lungimiranza senza affanno e il restante 5% lo lasciamo alla follia. Secondo me potrebbe funzionare. Ti tieni il tuo bel 40% di spazio in cui muoverti, ti lascio anche qualche giorno al mese per farmi vedere i sorci verdi, ci sta, però per il restante del tempo, oh Incertezza mia!, fai silenzio, non interferisci con il normale andazzo dei miei giorni. Siamo entrambe entità ragionevoli, secondo me ce la possiamo fare. 

Perché ci sono delle cose certe nella mia vita, ci sono e ringrazio il Cielo che ci siano e mi auguro ci siano ancora per cinquant’anni buoni, ma mi domando: perché non mi bastano? Perché l’ansia me le fa dimenticare e mi butta addosso tutto l’Incerto del mondo pronto a divorarmi quando la stanchezza si fa appena appena sentire? Perché? Perché? Perché?

Va bene. Non serve neppure che io sappia il perché. L’importante è che si trovi un accordo. Ora.

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(614) Affanno

Non lo so, non so perché non riesco a rallentare o se ci riesco mi passa la voglia dopo dieci secondi netti. Pensare è un boomerang, bisognerebbe evitarlo. Dico sul serio. Solo che se sei predisposto al pensiero, non puoi mica smettere di praticarlo soltanto perché hai scoperto che non ti conviene. Diventa una croce che ti porti appresso per l’Eternità.

Ora che mi sono sfogata vediamo se riesco a tirare fuori qualcosa di sensato da questo argomento: non era previsto, m’è uscito così e senza valutare bene la portata della cosa ho deciso di scriverci sopra. Senza pensarci, tanto per intenderci. E già qui la contraddizione. Lo so.

Riportando il discorso sul topic del titolo, posso ammettere serenamente che ce l’ho da sempre. Ho sempre l’affanno. Rincorro sempre qualcosa, non qualcuno, o perlomeno quel qualcuno alla fin fine sono sempre io. Io che rincorro me stessa mentre mi obbligo a fare delle cose che se non le facessi avrei troppo tempo libero e inizierei a pensare pensare pensare – che non mi fa bene affatto.

I miei pensieri istintivi sono distruttivi. Quando mi impongo pensieri costruttivi è per uno scopo: compiere qualcosa. Mi viene facile:

           idea => progetto => realizzazione => nuova idea => nuovo progetto  => nuova realizzazione e via di questo passo.

Ormai lo so come si fa e lo faccio, semplice. Se, invece, decido di prendermi un weekend per riposarmi – e quindi non pensare in modo costruttivo – ecco che vengo presa d’assalto dai pensieri distruttivi. Che non sono soltanto distruttivi, sono proprio D-I-S-T-R-U-T-T-I-V-I. Rafforzando la grafia spero di aver reso l’idea.

Lo so, ce li hanno tutti e bla-bla-bla-bla, ma non è che questo mi sollevi dal marasma o che mi crogioli nel mal-comune-mezzo-gaudio!

Se questi Carterpillar trovano spazio, in poche ore sono ridotta a uno straccio. Inzio a mettere in discussione tutto quello che mi riguarda: da cima a fondo, da dentro a fuori, dall’anno 0 fino a oggi. Non rimane nulla se non macerie. Non lo auguro a nessuno, davvero. Quindi i consigli degli amici – che lo so che mi vogliono bene ma ignorano l’esistenza di questa mia nevrosi – che iniziano con un innocuo rilassati-e-non-pensare-a-niente, mi provocano una sorte di affanno che non so neppure descrivere.

Va bene, credo di aver capito, se la soluzione è tenermi impegnata, non devo far altro che mettere in atto la strategia e mantenermi impegnata.

“Ok, Houston, forse possiamo tenere sotto controllo il problema. Passo e chiudo.” 

I’ll sleep when I’m dead (cit. Bon Jovi)

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