Sono astigmatica, e manco poco, perciò vedo tutto sfocato come se fossi dentro il sogno di una favola. Non mi dispiace vedere così, l’ho scoperto a 17 anni e prima di allora le cose non erano diverse dal dopo. Quindi pace.
Certo, se mi metto gli occhiali e il difetto mi si corregge vedo meglio, tutto più nitido, addirittura brillante. Alle volte tanta brillantezza mi dà fastidio. Sono abituata alla mia confortante opacità ovattata e calibro l’uso degli occhiali dosando la brillantezza nella mia giornata con una certa attenzione.
Leggere mi obbliga a mettermi gli occhiali e io leggo molto, per cui gran parte della mia giornata gli occhiali mi colpiscono di brillantezza. Se voglio prendermi una pausa e farmi un caffè, però, mi tolgo gli occhiali. Stacco dalla brillantezza e mi rifugio dietro al mio velo.
Insomma: gestisco i miei occhi come meglio credo. Come tutti, immagino.
Da qui può partire la mia riflessione serale: decido io cosa i miei occhi devono vedere, che io ne sia consapevole o meno. No, non si tratta solo degli occhi, si tratta anche di comprensione, di ascolto, di attenzione, di coraggio (o mancanza di coraggio), di voglia di verità (più che si può, ben sapendo che più in là di una certa percentuale non si va).
Oggi i miei occhi hanno visto tutto quello che potevo vedere. Anche ieri, anche l’altro ieri, anche il giorno prima. Tutto quello che posso vedere i miei occhi lo afferrano. Mi domando quanto sia l’ammontare di ciò che non posso ancora vedere. Mi domando se sia meglio non poter vedere tutto. Mi domando se il vedere di più aiuterebbe i miei occhi e il mio cuore.
Forse no.
Benedetto astigmatismo!