Non sono una che rimpiange i bei vecchi tempi, gli ottanta e più della mia adolescenza, so perfettamente quanto uno storytelling sapiente possa manovrare i ricordi e pilotare le emozioni del passato. Il fatto che sia una del mestiere mi fa essere ancora più rigorosa nella pratica del viaggiare a ritroso nei miei anni e nelle mie memorie.

Quando ho letto questo articolo di Wired, però, è stato saltare indietro nel tempo in modo dolce e romantico. Un colpo al cuore. Eh, sì anch’io – a volte –  mi commuovo.

La musica te la dovevi proprio andare a cercare, ai miei tempi, dovevi sintonizzare l’antenna della tv per catturare il segnale abbastanza nitidamente e avere immagine e suono in sincrono, e quando ci riuscivi non è che potevi concentrarti nello studio, il tuo pomeriggio era assorbito da tutto quello che Videomusic aveva in scaletta. Tutto.

E io ascoltavo avidamente, soprattutto la musica inglese e americana che riuscivo a trovare lì, per farmi un’idea di cosa mi piaceva e cosa no. Prima ascoltavo, poi scovavo le lyrics che andavo a tradurre e poi sceglievo: questo sì, questo no.

Mi sentivo parte di quel mondo colorato e “spaventosamente grande” che andavo a scoprire, fatto di complessità che volevo comprendere e di possibilità che si aprivano ogni volta che qualcosa di “nuovo” compariva davanti ai miei occhi e entrava con prepotenza nelle mie orecchie. Ero pronta ad abbracciare qualsiasi differenza perché sentivo che mi avrebbe completata, mi avrebbe migliorata come persona. Volevo essere dentro alle cose, dentro alla vita.

E avevo ragione. Così è stato.

Me ne sono ricordata grazie a un bell’articolo, a un paio di video e a tutto quello che è il mio archivio di memorie conservate in un paio di bauletti e il resto nel cuore.

In quel momento storico decisi chi volevo diventare. Ho raccolto tutto quello che ho trovato sulle strade percorse – per poco o molto a lungo – che potesse aiutarmi a realizzare il mio obiettivo che sembrava vago, ma era intenso e chiaro dentro di me, soprattutto segreto.

Il modo migliore per farlo è farlo.  (Amelia Earhart)

Ho imparato che mentre fai impari chi sei. Non puoi saperlo prima, lo scopri dopo. Tutto quello che rimane soltanto nella tua testa esiste solo per te. Non è sano confondere le dimensioni, porta a conseguenze pericolose. Soprattutto oggi che esiste il web e lo storytelling si è fatto pesante, contorto, raramente attinente con la realtà. La nostra intelligenza viene messa a dura prova, siamo ancora esseri in cerca di sicurezze e siamo pronti a tutto pur di trovare qualcuno che ci rassicuri, che ci tolga la responsabilità del decidere, dello scegliere, del pensare. Abbiamo paura di vivere.

Ero solita metterla da parte la paura, quand’ero un’adolescente affamata. Volevo fare. Volevo sapere chi ero.

In questi giorni sto pensano che è quella parte lì che mi manca più di tutte, quella che voglio recuperare. Non so da che parte iniziare, ma il solo pensiero mi fa venire le farfalle nella pancia… come se fossi di nuovo innamorata.

Strano vero?

Maledetta primavera.

 

Vai all’articolo precedente ——–> 

Torna in homepage per scegliere altri articoli da leggere —————>