Le cose che non si possono dire sembrano essere tante, troppe. Mentre crescevo me ne rendevo conto sempre di più, tanto che da adolescente sfidavo la sorte e la pazienza di chi mi stava attorno dicendo ad alta voce tutto quello che mi suonava storto, sporco, ingiusto, schifoso. Ero insopportabile.

Non fraintendiamo, lo sono ancora insopportabile perché il mio orecchio con il tempo si è addirittura affinato, ma con l’esperienza ho imparato che quello che non si può dire – se lo si dice – porta conseguenze non proprio leggere. In cosa sono cambiata? Sono per caso diventata una pusillanime? Ecco… a un certo punto ho pensato di sì. Poi, però, ho soppesato e valutato il mio silenzio e ho scoperto che era il silenzio più urlato che si sia mai sentito. Anche se, molto probabilmente, quell’urlo lo sento solo io.

Può bastare?

Se fosse soltanto una questione di voce allora sarebbe evidente che ho perso punti, ma il mio silenzio ha costruito la mia azione. Il mio fare. La reazione non esce dalla gola, ma dal corpo che si muove e si fa presente. Fossi diventata una ballerina avrei spaccato (battuta).

Credo che se non mi fossi concentrata sul mio movimento, la rabbia mi avrebbe consumato.

La rabbia ha una potenza che nessun silenzio può coprire e neppure mitigare, ce ne portiamo addosso tonnellate e ci domandiamo che cos’è che ci fa tanto pesanti e poco disposti a vivere. Lei, è lei.

La rabbia cresce da un sentimento di impotenza, ma la frustrazione che ci schiaccia è spesso facilmente smontabile se troviamo qualcosa da fare… che sia utile e continuato nel tempo. E misurabile.

Questa è soltanto una riflessione, non vuole neppure essere un consiglio, soltanto qualcosa che mi ha impegnata negli ultimi tempi: gestire la mia frustrazione, smantellare la mia rabbia, ripristinare la mia energia, spingermi oltre e rimettermi in movimento. Guarire.

Se sapete di cosa sto parlando, allora non c’è bisogno di aggiungere altro.

Il silenzio può bastare.

 

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