Sembra sia una colpa, una vergogna, una cosa inammissibile il non-sapere. Mi domando se sia iniziata a scuola o sia qualcosa che ci tiriamo dietro (e dentro) da ben prima della nascita. La colpa atavica del non-lo-so.
Lasciando riposare in pace Socrate e il suo “so di non sapere” che è stato il punto di svolta dei miei vent’anni, la mia odierna riflessione va a parare su quel disagio che ci pervade quando ci troviamo a dover ammettere in pubblico che, semplicemente, non lo sappiamo.
Il disagio diventa talmente paralizzante che siamo disposti a renderci ridicoli pur di non ammettere francamente che non possiamo fornire una risposta, una soluzione, neppure un parere su quell’argomento perché non ne abbiamo una conoscenza tale da poter azzardare un pensiero plausibile-focalizzato-di buon senso.
Non fosse così, in questo momento anziché parlare a vanvera rispetto a quello che sta succedendo non così lontano da noi (parlo delle bombe, degli eccidi e di tutta la merda che ci sta sommergendo) ci metteremmo a osservare meglio, per capire meglio, ammettendo quell’umile non-lo-so che è anche un diritto oltre che una presa di coscienza.
Accendere la televisione e ascoltare i pareri degli esperti e dei politici è diventato un insulto all’intelligenza, quella vera, quella che ti fa ammettere dall’alto dei tuoi studi e dei tuoi titoli: non-lo-so-cosa-diavolo-sta-succedendo.
Perché al momento c’è Al Bano che va a cantare Felicità a San Pietroburgo e Bezos che si sposa a Venezia… e poi c’è la realtà, quella che conta, quella che a noi sembra un film americano di discutibile qualità e che anche se sappiamo che ci porterà dritti all’inferno, non osiamo immaginare il come.
Non è che le cose cambiano se evitiamo di sparare le nostre illuminate teorie, sbaglio?
Lo scriveva Dostoevskij in tempi ormai perduti:
“Hanno pianto un poco, poi si sono abituati. A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo!”
… almeno avessimo il pudore di chiudere la bocca e permettere al silenzio di farci sentire quelle bombe, quei pianti disperati e quel vuoto che la morte ci sta urlando addosso e che noi copriamo con la nostra disumanità.
La felicità, in questo momento, che sia cantata o messa in scena, è violenta come una bomba.
Non lo sentiamo?
Ah, già! Basta spegnere la televisione.
Giusto giusto… va bene così.
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