Molto tempo fa lessi un testo illuminante “La mente narrativa” di Erica Cosentino, dove si approfondiscono i fondamenti simulativi della comprensione e produzione del discorso. Sì, piuttosto impegnativo. Lo feci per una ragione: volevo capire se la mia intuizione sulla mente narrativa fosse sensata o meno. Lo era. Lo è.
Non voglio dilungarmi troppo su quanto da lì in avanti la mia ricerca si sia ampliata e arricchita, magari un giorno lo farò, non ora. Condividere una riflessione lo posso fare, però. Collegandomi al post precedente, su quanto poco conosciamo la nostra mente e i suoi affascinanti meccanismi, vorrei focalizzare l’attenzione su come ormai sia diventato obbligatorio complicare le cose per dimostrare profondità di sentimenti e di cultura.
Ci riempiamo la testa con milioni di informazioni, di nozioni, di cose-eventi-personaggi, per stare sempre sul pezzo, e ci arrabattiamo per usare tutto quanto e tutto insieme con il fine di dimostrare quanto siamo bravi.
Clap clap clap.
Abbiamo bisogno dell’applauso, aneliamo una standing ovation che ci trasporti in alto, ai vertici di una montagna che da sotto sembra bellissima.
Tutti in arrampicata libera, convinti di essere Manolo (freeclimber nella pubblicità Sector degli anni novanta), e non ci rendiamo neppure conto che essere un fuoriclasse non viene facile neppure ai fuoriclasse veri. Ci si arriva per gradi e con umiltà. E quando ci arrivi non te ne accorgi neppure perché la tua testa si è già spinta oltre, ha già nuovi orizzonti da raggiungere.
Quando lavori a un progetto creativo non lo fai per essere il più bravo, ma per dare il meglio di quello che sei e realizzare al meglio quello che devi. E ci vuole davvero coraggio e nervi saldi per non farsi abbacinare dal bisogno di mettersi in mostra. Essere al centro dell’attenzione, ovvero: “Vanità, decisamente il mio peccato preferito” (cit. Al Pacino ne “L’avvocato del Diavolo”, 1997). Non siamo noi i protagonisti e se ci viene il dubbio e ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di un palcoscenico, allora dovremmo cambiare mestiere.
Infine, riporto tutto a quella che per me è l’origine: un’idea piccola, ben focalizzata, senza sporcherie, fa molta luce. Questa luce può illuminare tutto: chi l’ha avuta, chi l’ha realizzata, chi ne usufruisce (dal committente all’utente finale). La scelta di mettersi da parte per non fare ombra è una scelta intelligente, oltre che utile.
Certo, ci vuole coraggio. E nervi saldi.
Coraggio. E nervi saldi.
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