Alla domanda “chi sono?” bisognerebbe dare prima o poi una risposta. Non una qualsiasi, tanto per metterci la coscienza in pace, ma una sincera asserzione che ci permetta di fissare almeno il punto di partenza per sondare l’arcano che siamo.
La nostra identità è il nostro modo di vedere e di incontrare il mondo: la nostra capacità o incapacità di capirlo, di amarlo, di affrontarlo e di cambiarlo.
Walter Benjamin
“Incontrare il mondo” è inevitabile, il modo in cui scegliamo di affrontarlo può mutare proprio a causa del contesto in cui ci troviamo e dello stato mentale ed emotivo che ci determina in quel momento. La nostra sorprendente capacità di cavalcare l’incoerenza è l’affascinante quanto frustrante condizione con cui ci sfidiamo l’un l’altro mentre comunichiamo. Tanto per capirci, faccio presente che uno dei sinonimi di incoerenza è assurdità e una comunicazione vincente poggia su concetti di razionalità e logica. Non c’è bisogno di aggiungere altro, vero?
In poche parole: non ci siamo proprio.
Ho sempre considerato la questione identitaria come il processo di crescita evolutiva che mi toccava affrontare, non come un’etichetta che avrei dovuto appiccicarmi in fronte per presentarmi in società. Questo processo, che è ricerca ed esperienza, l’ho difeso con le unghie e con i denti (letteralmente) in ogni circostanza, facendomi forte soltanto di una cosa: il mio nome.
Stupisce spesso il fatto che quando mi presento, anche in situazioni lavorative, utilizzo soltanto il mio nome di battesimo (il cognome è un’eredità non necessariamente utile nel definire il mio “chi sono”), perché ogni dettaglio della mia identità è racchiuso in quelle banali 7 lettere, che non sono vetrina espositiva e non sentono il bisogno di spiegare nulla. Mi sono guadagnata il diritto di essere Barbara attraversando oceani di insicurezze, uscendo faticosamente da profondi pozzi di inadeguatezza/inferiorità e altre miserie, e imparando ogni volta a pesare meglio il valore di ogni b e ogni a e ogni r che mi compongono.
La mia voce ha smesso di tremare quando ho bypassato l’obbligo di affermare la mia identità per chiedere di essere accettata.
Non c’è nessun bisogno che il mondo accetti chi siamo, deve soltanto rispettare il fatto che ci siamo.
E se non credo molto al fatto che il mondo possa cambiare, sono sempre più sicura che le persone cambiano continuamente e sono le persone che possono forgiare la propria identità per affrontare il mondo nel modo migliore che possono immaginare per sé stesse. Ognuna per sé.
Vorrei che ogni donna, ovunque nel mondo, non dubitasse neppure per un istante della potenza della propria voce.
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