La settimana scorsa mi sono imbattuta in questo concetto: egocentrismo digitale. In poche parole si può spiegare così: tutto quello che leggiamo nei social lo consideriamo come un messaggio rivolto proprio a noi. Personalmente, fatto apposta per toccarci, coinvolgerci, coglierci in fallo o celebrarci.

Da qui il bisogno (quando tale messaggio non rispecchia il nostro pensiero, il nostro gusto, il nostro bisogno) di commentare anche in modo violento per affermare la nostra irritazione, il nostro rifiuto, il nostro opporci a quella che sentiamo come una sentenza immeritata.

La realtà è diversa da come la percepiamo, chiaramente. Possiamo anche rilassarci e passare oltre.

Come spesso mi accade, questa riflessione mi ha accompagnata fino a qui e oggi – per caso? – ho ritrovato un appunto risalente al lontano 2015:

L’origine dei nostri atti sta nella propensione inconscia a ritenerci il centro, la ragione e l’esito del tempo. I nostri riflessi e il nostro orgoglio trasformano in pianeta la briciola di carne e di coscienza che siamo. Se avessimo il giusto senso della nostra posizione nel mondo, se confrontare fosse inseparabile dal vivere, la rivelazione della nostra infima presenza ci schiaccerebbe. Ma vivere significa ingannarsi sulle proprie dimensioni.   (“Sommario di decomposizione” di Emil Cioran)

Il narcisismo è congenito nella stirpe umana, facciamocene una ragione.

Allargando un po’ lo sguardo, la questione delle dimensioni è comunque affascinante.

dimensione 1. [ciascuna delle misure di un corpo: corpi a tre d.; prendere le d. della stanza] ≈ ‖ estensione, grandezza, misura. ⇓ altezza, larghezza, lunghezza, profondità. 2. (estens.) [spec. al plur., grado di rilevanza, anche fig.: un’iniziativa di grandi d.] ≈ entità, importanza, misura, mole, peso, portata, proporzioni, rilievo, spessore, valore. 3. (fig.) [modo con cui qualche cosa si presenta o deve essere valutata: riportare un fatto alle sue d. normali] ≈ aspetto, carattere, misura, parametro. ▼ Perifr. prep.: a dimensione di [che tenga conto del destinatario: una città a d. di donna] ≈ a misura di, su misura per.

Nel mio mestiere, ogni parola ha anche una dimensione silenziosa, sotterranea, misteriosa.

In fondo a un grazie, per esempio, vive tutto quello che il sentimento che lo accompagna ha costruito nel tempo… diverso per chiunque lo pronunci (o – semplicemente – lo senta). Questa dimensione non è data come certa, è un valore che può espandersi o restringersi… abbracciando il cielo o scomparendo del tutto.

Prima c’era e adesso non c’è più, così come succede per l’amore o l’affetto o l’interesse o la curiosità.

In un attimo… puf!

La cosa veramente incredibile è che non succede lo stesso per l’odio o il pensiero violento o la negazione della verità e/o della realtà. Com’è possibile? La dimensione in questi casi anche quando smette di crescere (ci sarà pure un limite pure per loro) anziché diminuire si cristallizza. Rimane enorme, così com’è, per sempre. E non un per-sempre ipotetico, un per-sempre concreto che riguarda il mondo degli umani, di generazione in generazione.

In infinitum.

La parola fine/conclusione in questi casi dovrebbe espandersi oltre la coscienza del mondo e schiacciare questo inganno del sentirci “il centro, la ragione e l’esito del tempo”, esattamente come il maestro Cioran ci ricorda.

Comunque: se l’amore finisce, così dev’essere anche per l’odio.

E su questo non transigo.

Buon lunedì!

 

 

 

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