Ma dove vai se una community non ce l’hai? Questo è in soldoni il grande dilemma, la call-to-action che martella chiunque voglia farsi strada sui social. La community è la tua fonte di guadagno: reputation e quindi soldi. Tanti soldi, tantissimi (questa è la promessa). La community è anche fonte di ansia, stress e burn out. Queste le conseguenze, e nessuno te lo dice.
Riuscire a costruirsi una community comporta una fatica consistente. Innanzitutto devi individuare il topic sul quale poggiare le fondamenta del tuo lavoro.
Quindi devi diventare esperto di quel specifico settore. Devi creare contenuti utili, divertenti, condivisibili (potenzialmente capaci di diventare virali). Si tratta di costruire un progetto capace di stare in piedi e di evolvere nel tempo. La community a un certo punto ti guiderà in quelli che sono gli interessi del pubblico in target, quelli che possono portarti più visibilità e più condivisioni. In poche parole: la tua community diventerà la tua gabbia, la tua croce, il tuo inferno.
Ti spiego il perché.
I membri di una community partono tutti da un sincero interesse in quello che stai dicendo, e una più-o-meno sincera ammirazione per come lo stai dicendo. All’inizio vogliono tutto da te, avidi di ogni cosa che vorrai condividere (spugne intenzionate ad assorbire il più possibile), anche perché all’inizio il tuo condividere sarà generoso, originale, senza limiti. Perché l’obiettivo è soddisfare la tua amata e giovane community. La gratificazione scaturita da ogni commento positivo e da ogni lode che ti verrà esternata sarà per te fonte di energia creativa e di orgoglio. Che bello, vero?
Il genere umano, però, vive di invidie, veleni e cattiveria. Fine del sogno, si scende in battaglia.
Quando la tua amata community si rende conto che ti sta facendo volare in alto, perché tu giustamente la ringrazi ogni tre per due visto che il tuo fatturato aumenta in modo proporzionale, allora quelle stesse persone che ti vedono brillare si convincono che è per merito loro (del loro supporto) e non tanto perché tu sei obiettivamente meritevole (bravo, competente, creativo ecc.).
A questo punto, il turning point fatale.
La tua community inizia a pressarti con le richieste (perché non parli di questo o di quello?) e le critiche si fanno via via più aggressive, velenose. Addirittura, se non d’accordo con te, i sostenitori più fedeli possono dichiararti ufficialmente guerra e minacciarti di andarsene e di portarsi via una parte consistente dei tuoi followers… visto che ti sei montato la testa e pensi di essere tu l’artefice del tuo successo.
Breakdown.
La tua fragilità ora è sotto gli occhi di tutti. Inizi a dubitare di te, del tuo valore, del tuo meritato successo. Chiedi scusa, ti prodighi in spiegazioni che possano calmare gli animi, cedi a compromessi, sorridi in video e piangi di rabbia quando sei off-line.
Essere on-line diventa un incubo.
Tu che pensavi di essere il dio-creatore della tua community, a questo punto, ti rendi conto di essere un burattino nelle mani di chi può fare la tua fortuna o decretare la tua fine.
Cosa farai a questo punto? Semplice: combatti o soccombi.
Se decidi di combattere allora il primo step è quello di smettere di prenderti troppo sul serio. Non sei dio, sei un personaggio. Creato per ottenere un certo risultato (essere ricco/influente/idolatrato… la lista può essere lunga), in un dato periodo storico (spesso breve, le cose a lungo termine finiscono rovinosamente e lasciano un brutto ricordo), sfruttando caratteristiche non sempre originali ma presentate ad hoc e vendute come autentiche. Strategia e Visione, idee chiare e abnegazione: così si combatte. Così si vince.
Se ti arrendi e soccombi, allora sei libero. Prendi tutto quello che sei e che puoi dare e cerchi un modo per rendere la tua vita un successo… anche se nessuno ti supporta, ti incensa, ti reputa un fenomeno. Alla fine, quello che gli altri pensano di te ha il peso che tu gli vuoi dare. Una piuma o una tonnellata di ferro, decidi tu come vuoi vivere.
La verità è che è un gioco. E di questo gioco, l’unica cosa seria è la tua salute mentale, la cosa che puoi perdere se ti consegni a un mucchio di gente di cui non conosci nulla se non un cavolo di nickname che fa capo a due frasi sibilline capaci di metterti K.O. perché mancano di punteggiatura e di intonazione (e quello che è un complimento si trasforma in una mannaia che ti fa saltare via la testa).
Ho reso l’idea?
E se mi si chiede: ma le community sono tutte fatte così. La mia risposta è sì. Sono fatte per funzionare così. La forza del branco, del quasi totale anonimato virtuale, dell’impunibilità pressocché assoluta.
Le persone (voi) che vi fermate qui a leggere il mio blog ogni settimana (grazie) non siete qui per me, ma per quel poco di utilità o di divertimento che potete assorbire qua e là dalle righe che scrivo. Non siete la mia community, non siete qui per questo. Ecco perché non ho attivato la possibilità di commentare i miei articoli qui sotto, ripeto: non siete qui per questo.
La mia scelta è dovuta al fatto che una community mi potrebbe essere fatale, a livello mentale e quindi creativo. Sono troppo vecchia per queste cose.
Preferisco scrivere, augurandomi che qualcuno abbia piacere a leggere quello che pubblico.
E per questo non sarò mai troppo vecchia.
Buon lunedì!
[Grazie]
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