Mi sono ritrovata in una situazione curiosa e non sono sicura di esserne uscita, non ancora forse. In poche parole ho dovuto difendere il concetto di storytelling mettendolo a confronto con quello del copywriting. Che di per sé è assurdo, è idiota, è pari a una guerra fratricida – lo sappiamo tutti. Tutti. Forse non tutti, altrimenti non sarei stata presa in trappola a tradimento.
Il mestiere del copy è la punta dell’iceberg dello storytelling. Non è che sotto a un claim, a un body copy o un pay-off ci sia aria fritta, se son fatti bene no. E, a dirla tutta, che un Copy di oggi possa pensare di cavarsela tirando fuori dal suo cappello magico quattro paroline smart per far passare messaggi privi di alcuna sostanza è irritante. Bisognerebbe urlargli nelle orecchie: “Rovini tutto, idiota!”. Forse non capirebbe, ma intanto ti sei sfogato (che male non fa).
Il lavoro di costruzione dell’impianto narrativo – che sta alla base di tutto, davvero tutto quello che viene pensato e creato per comunicare – parte da un pensiero semplice: se io sento anche tu devi sentire. Possibilmente con la stessa intensità e la stessa vibrazione che ho la fortuna di provare io. Se io sento, devi sentire anche tu. Grazie a me. Mi faccio canale, mi faccio traghettatore, mi faccio portatore sano di intensità, di senso, di sogno, di qualsiasi-cosa-possa-servire-per-farti-arrivare-il-messaggio.
Sei bravo nel tuo comunicare quando riesci a commuoverti per una brugola che il cliente vuole spingere sul mercato, quando ti batte forte il cuore pensando a un aerosol di nuova generazione che deve arrivare anche a chi non ne avrebbe mai sentito il bisogno ma-nella-vita-non-si-sa-mai. E allora, la storia che devi raccontare, non la racconti a un target che non sa neppure che cosa sia una brugola o perché un aerosol può salvare la vita o che-diavolo-ne-so-io, la racconti a te stesso. Perché devi sentire. Sei pagato per sentire, non per skippare passaggi e arrivare a un Just do it tardivo (perché già è stato usato, sveglia!)che ti fa chiudere in bellezza senza fatica. Te la devi raccontare bene quella storia. Tu sei il primo che deve essere sedotto, che deve volerci stare dentro dalla testa ai piedi.
E a quel punto, se il cliente ti contesta quella parola e insisite per sostituirla con un’altra che non sta né in cielo né in terra, allora tu sì che soffrirai e sarai anche pronto a combattere affinché le tue ragioni di copy/storyteller/poverocristo siano ascoltate e accolte per il BENE dell’azienda che ti ha incaricato di salvarla dall’oblìo. E sarà lì che l’amore per il tuo mestiere ti riscoppierà dentro, quando anche un solo cliente – guardandoti negli occhi – ti scoprirà come l’unico che ha davvero capito la mission della sua creatura, tu saprai di essere nel posto giusto e saprai di essere il copy/storyteller/poverocristo/mezzosuperman giusto nel momento giusto.
Magari non userai neppure una parola, o ti limiterai a un paio di didascalie (che a chiamarle così ci si vergogna anche), ma il messaggio arriverà. A tutti. Tutti sentiranno perché tu hai sentito. E se pensi che non sia possibile, allora guarda quelli che davvero sanno fare e impara. Non c’è un solo modo per arrivarci, ma se hai chiaro l’obiettivo la strada comparirà e se hai abbastanza fegato, e deciderai di percorrerla, nel mentre ti si apriranno i pensieri che ti proietteranno dove neppure tu pensavi di poter arrivare.
E sei soltanto un copy/storyteller/poverocristo.
Pensa te.
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