C’era una volta la recensione, che era quella cosa che qualcuno che ne sapeva parecchio su un determinato argomento si permetteva di scriverne (seguendo una struttura testuale piuttosto rigorosa) al fine di guidare il lettore alla visione o all’acquisto di un determinato prodotto (artistico e non solo). Certo, si sapeva che certi recensori non erano proprio così oggettivi come avrebbero dovuto essere, ma almeno erano in grado di costruire la propria esposizione in modo convincente immergendola in un contesto di sostanza (altresì dicesi competenza). La recensione, pertanto non era frutto del gusto personale del recensore (le premesse erano queste), bensì di una sorta di analisi oggettiva che poteva – soltanto alla fine – concedersi il lusso di diventare commento soggettivo. In poche parole: prima analizzo e poi inserisco il mio punto di vista, basato su una conoscenza approfondita dell’argomento e del settore al quale appartiene.

recensione /retʃen’sjone/ s. f. [dal lat. recensio -onis, der. di recensere “esaminare”]. – 1. (filol.) [fase del lavoro di edizione critica consistente nella scelta della lezione ritenuta migliore tra le varianti messe in luce dalla collazione: r. chiusa, aperta] ≈ recensio. 2. (estens.) [esame critico, in forma di articolo, di un’opera di recente pubblicazione e, anche, articolo che commenta spettacoli, film, mostre e sim.: fare, scrivere una r. favorevole, severa] ≈ ‖ articolo, commento, critica, giudizio, presentazione, scheda. (Treccani on-line)

Con l’arrivo di internet abbiamo detto addio a queste premesse e alla qualità e alla sostanza. Ora le recensioni le scrivono tutti perché tutti si sentono autorizzati a far presente cosa è bello/buono e cosa no a chiunque. Proprio a chiunque. E – molto spesso – senza aver altro da esporre se non i propri gusti personali.

Evviva la democrazia, va bene, ma a questo punto dovremmo anche imparare a distinguere quella che è una buona recensione e quella che è soltanto un parere personale del tutto opinabile.

Banalizzando: “Questo film è un capolavoro!” (firmato Quentin Tarantino) vs. “Questo film è un capolavoro!” (firmato miocuggino che ama il genere Fantasy ma a cui non gliene frega niente di tutto quello che è “il cinema” oltre il livello 1 – ovvero me-lo-guardo-perché-mi-piace).

Con miocuggino ci puoi anche discutere per 10 ore a suon di birre e rutti, ma con Quentin Tarantino non discuti. Con Quentin ascolti. Ascolti attentamente perché sai che il suo punto di vista ha un valore e un peso che levati proprio. Giusto?

Scendendo al livello 2, il parere personale si fa più sottile e si ampia, diventa studio ed esposizione di un punto di vista da appassionato. Al livello 3 la cosa si fa più seria, si fa analisi e poi riflessione e poi espressione di un pensiero sfaccettato che trova espressione in una data forma (ordinata e chiara).

Sarò anche pignola e rompiballe, ma buttare tutto nello stesso calderone non va bene.

Stessa cosa per qualsiasi altro mestiere: il titolo di cui ti pregi te lo devi sudare, devi proprio avere sostanza per poter presentarti al mondo con autorevolezza.

Definiamo in altro modo la recensione di chi non fa quel mestiere, ma è un semplice fruitore del prodotto di cui vuole parlare. Esordire con “la mia esperienza personale/il mio personale pensiero rispetto a questo prodotto è… “, sarebbe corretto oltre che doveroso. Sono note personali, sono condivisioni che lasciano un po’ il tempo che trovano e possono acquistare valore solo se scritte con intento puro. Un feedback autentico che evidenzia pregi e difetti di quell’esperienza che abbiamo fatto in prima persona.

Di nuovo banalizzando: “la pizza che ho mangiato Da Salvatore è la peggiore che esista” (parere scritto sotto forma di condanna pubblica) vs. “la pizza che ho mangiato Da Salvatore non mi è piaciuta perché era bruciacchiata e poco guarnita” (parere personale, niente di più e niente di meno). Il primo commento può ledere la reputazione della pizzeria in questione, il secondo mette in guardia i clienti ma lascia anche lo spazio per un confronto, magari con Salvatore stesso che si può scusare e può anche giustificarsi (sarebbe un suo diritto no?).

Dirò di più: un pizzaiolo di mestiere, uno in gamba, scriverebbe la sua critica motivandola meglio e farebbe anche presente una cosa positiva della suddetta pizza perché raramente è tutto un disastro, tutto insalvabile. In questo modo rafforzerebbe la propria credibilità agli occhi del lettore: è una recensione giusta, non un’invettiva fine a sé stessa. 

Ho voluto scrivere di questo perché credo che comunicare in modo corretto sia sempre più importante, mai scontato e, soprattutto, un dovere di tutti. Nella realtà e nel virtuale.

Buon lunedì!

🙂

(e ora… silenzio)

 

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