(370) Nero

Adoro il nero. Lo porto addosso sempre. Capelli, abiti, scarpe, a volte anche sulle unghie. Morticia Addams (quella di Carolyn Jones, ovviamente) è l’icona che mi affascina da una vita. Venivo spesso presa in giro per questa fissa del dark da ragazza, me ne sono sempre fregata. Ovviamente, anche se ci rimanevo male – di solito perché venivo presa alla sprovvista, la cattiveria gratuita non me l’aspetto mai – me la facevo passare persistendo nella mia posizione. Finché non cambio gusti o cambio idea per convinzione intima, persisto. Sono così.

Detto questo, il vedere nero mi dura pochissimo. Ci sono momenti in cui cado nel black hole della mia anima in pena, ma poi l’altra metà d’anima – che è guerriera – mi dà una botta intercostale e mi ributta su. Vedo nero quando sono stanca. Essere stanchi è normale, ma quando si è stanchi bisognerebbe dormire o andarsene per un po’, lontano, e respirare aria diversa. Mi piacerebbe poterlo fare, ma non me lo concedo più da molto tempo e non so più come si fa – forse.

La questione del nero, però, è una cosa sottile ed è salutare riconoscere la natura del nero in cui si sta affondando. C’è un nero senza ritorno e da lui bisogna proteggersi, non cadergli in braccio. Lo vedo spesso in chi incontro e annuso il pericolo. Vorrei soffiarglielo via perché so quanto bastardo sa essere, ma che diritto ho di interferire con le scelte del mio prossimo? Nessuno, questo è pacifico.

So solo che il nero va dosato, va monitorato, va gestito.

Io, per esempio, odio gli spaghetti al nero di seppia – anche se non ho nulla contro le seppie, beninteso – e cerco di evitarli sistematicamente.

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