Ho sempre pensato che avrei dovuto imparare a suonare l’ukulele, per diversi motivi e nessuno di questi trascurabile.
Il primo è che sembra più facile di una chitarra e iniziare con lui poteva darmi fiducia per passare alla Stratocaster (tanto per dirne una).
Il secondo è che appena ne sento vibrare uno mi viene in mente (uno dopo l’altro): Elvis Presley in “Blue Hawaii”, la prima moglie di Marlon Brando (Tarita Teriipia) che quand’ero piccola mi sembrava splendida e molto Hawaiiana anche se non lo è (è di Bora Bora) e volevo assomigliarle – tanto che la mia Barbie preferita, quella che non lasciavo toccare a nessuno, e proprio per questo ha fatto una brutta fine (la ferita brucia ancora) era proprio la mia Barbie Hawaiana (capelli castano scuro, occhi grandi marroni dorati, le labbra color pesca e la pelle abbronzata) – e infine il grande e pacioccoso con voce d’angelo Israel “IZ” Kamakawiwoʻole che canta “Somewhere over the rainbow”.
Il terzo motivo è che sono convinta che suonare l’ukulele alleggerisca la fatica e scoraggi la forza di gravità dallo schiacciarti come fossi un moscerino. Quel vibrato – bello e ripetitivo – è come una serie di pacchette sul coppino che ricevi per risvegliarti un po’ dal torpore. Non lo so, mi fa questo effetto.
L’ultimo motivo per cui mi piacerebbe suonare l’ukulele è per dare il tormento a tutti, ma in modo piacevole. Sì, arrivare proprio al limite dello schiaffone ma evitarlo per un soffio grazie al… all’ukulele, ovviamente!
Ci sono strumenti più nobili, è vero, ma nessuno è più gioioso (anche quando lo usi per un lamento). Forse perché porta con sé il Paradiso delle sue terre (quella portoghese e quella Hawaiiana, ovviamente), forse perché è stato pensato per dare sollievo a chi lo suona e a chi lo ascolta, forse perché è solo tutto nella mia testa… va a capirlo… comunque ho deciso: nella prossima vita rinasco Hawaiiana per suonare l’ukulele.