(516) Ukulele

Ho sempre pensato che avrei dovuto imparare a suonare l’ukulele, per diversi motivi e nessuno di questi trascurabile.

Il primo è che sembra più facile di una chitarra e iniziare con lui poteva darmi fiducia per passare alla Stratocaster (tanto per dirne una).

Il secondo è che appena ne sento vibrare uno mi viene in mente (uno dopo l’altro): Elvis Presley in “Blue Hawaii”, la prima moglie di Marlon Brando (Tarita Teriipia) che quand’ero piccola mi sembrava splendida e molto Hawaiiana anche se non lo è (è di Bora Bora) e volevo assomigliarle – tanto che la mia Barbie preferita, quella che non lasciavo toccare a nessuno, e proprio per questo ha fatto una brutta fine (la ferita brucia ancora) era proprio la mia Barbie Hawaiana (capelli castano scuro, occhi grandi marroni dorati, le labbra color pesca e la pelle abbronzata) – e infine il grande e pacioccoso con voce d’angelo  Israel “IZ” Kamakawiwoʻole che canta “Somewhere over the rainbow”. 

Il terzo motivo è che sono convinta che suonare l’ukulele alleggerisca la fatica e scoraggi la forza di gravità dallo schiacciarti come fossi un moscerino. Quel vibrato – bello e ripetitivo – è come una serie di pacchette sul coppino che ricevi per risvegliarti un po’ dal torpore. Non lo so, mi fa questo effetto.

L’ultimo motivo per cui mi piacerebbe suonare l’ukulele è per dare il tormento a tutti, ma in modo piacevole. Sì, arrivare proprio al limite dello schiaffone ma evitarlo per un soffio grazie al… all’ukulele, ovviamente!

Ci sono strumenti più nobili, è vero, ma nessuno è più gioioso (anche quando lo usi per un lamento). Forse perché porta con sé il Paradiso delle sue terre (quella portoghese e quella Hawaiiana, ovviamente), forse perché è stato pensato per dare sollievo a chi lo suona e a chi lo ascolta, forse perché è solo tutto nella mia testa… va a capirlo… comunque ho deciso: nella prossima vita rinasco Hawaiiana per suonare l’ukulele.

 

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(236) Ho’oponopono

Ho tra le mani un libro che si intitola Ho’oponopono, un regalo. Porta in sé un messaggio semplice, basilare: vivi con amore e nel perdono, così facendo sciogli ogni resistenza di guarigione e ti liberi.

Le cose semplici spaventano, pensiamo sempre che ci sia qualcosa sotto di torbido che ci fregherà. Non lo so perché è così, ma è così. Attenzione, però: le cose semplici positive ci sembrano infide, mica quelle semplici negative.

Gli slogano razzisti, di ogni genere, sono semplici, diretti, chiari, inequivocabili. Li capiamo al volo. Tutto sta lì. Ci fidiamo di loro, di quello che dicono e quasi quasi ci convincono pure. Non è così per i messaggi positivi, anche se semplici, diretti, chiari e inequivocabili non ci danno fiducia. Ci fanno diventare sospettosi.

Ecco, penso che questo faccia schifo. Questo pensare che l’amore sia cosa semplice e pertanto banale, ovvia, svalutabile ed equivocabile fa davvero schifo.

Come ho fatto a ridurmi così? Dannazione!

 

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