Ognuno di noi ha una sua Venezia dentro il cuore. Con i canali, tanta acqua, palazzi che fanno sognare un tempo passato un po’ più felice (forse) e… tanti turisti che rompono le palle sparsi in giro.
Il tuo luogo non è mai incontaminato. I turisti sono ovunque. E la cosa peggiore è che tu sei il turista nel luogo speciale di qualcun altro. Noi Esseri Umani siamo nati per darci il reciproco tormento. Innegabile.
Sto divagando, ero partita col pensiero che una Venezia sia per forza di cose irriproducibile (nonostante ci abbiano provato anche con risultati notevoli), perché quella malinconia sognante che puoi grattare giù dai muri, raccogliere da ogni pietra, acchiappare al volo dalle gocce d’acqua che schizzano al passaggio di un traghetto, quella cosa lì non la si può inventare. Non la si può ricreare. Non la si può dimenticare, una volta che l’hai incontrata.
Come certe persone che sono passate attraverso di te, che le hai sentite con tutto il corpo e che per quanto tu faccia non le potrai mai sostituire, le puoi solo ricordare con struggente nostalgia.
E ci sono cose che davvero non ritornano e cose che ti si presentano davanti con abito nuovo, ma sono sempre le stesse, e tu non sai se abbracciarle o mandarle al diavolo.
Sono spesso presa dallo Spleen, un tormento che ti parla di quello che non c’è mai stato e che si continua a desiderare perché lo si immagina perfetto. Lo so, un’enorme perdita di tempo, ma neppure me ne accorgo. Ci casco dentro e bon, ci rimango per un po’, finché non mi stanco e ricomincio. Un’autoindulgenza che fa poco bene, ma anche poco male, e allora chissenefrega. Di qualcosa dovrò pur morire e non morirò di certo di Spleen.
Ho Venezia stasera che mi luccica dentro. No, non mi sta facendo bene, ma neppure troppo male. Quindi chissenefrega.
Buonanotte.